Duncan Bush, poesie

Duncan Bush

Midsummer. Night.

There’s a moment in summer when everything stops.
Ten o’clock, and the young pear tree still
shines white as a bride

against trees lush with evening, black with June.
There’s a moment (though this may not be
the evening of the 21st)

when infinitesimally your life pivots
with the year (though probably it’s not your
thirty-fifth, and you may

not reach seventy). A moment
when the inch of wine set down forgotten
in your glass holds all

the failing light, and stands unwavering
as if your numberless progenitors had
lived, begotten, died

only so you should see such stillness.
There’s this moment one summer when summers
stand in silhouette, and the topmost leaves

of those trees which are as old as your bloodline
are stirred no more than by the breathing of
your sleeping child upstairs.

There’s a moment in summer when everything stops
(though the pear no bigger than a haw
will ripen under leaves)

and you sit so long at the window the room’s dark,
and just this tilted page is luminous,
though you can hardly see the letters.

Then you look outside again, and the peartree’s
gone, to the blackness beyond it. And tomorrow
from now on means only that:

a day, then a day, then a day. And life,
which was once vast as the atlas on the shelf,
is closer than your skin, and countable.

Mezza estate. Notte.

C’è un momento in estate in cui tutto si ferma.
Le dieci, e il giovane pero ancora
risplende bianco come una sposa

contro alberi turgidi per la sera, neri per il giugno.
C’è un momento (potrebbe anche non essere
la sera del 21)

in cui in modo infinitesimo la tua vita ruota
con l’anno (anche se forse non ne hai
trentacinque e potresti

non arrivare ai settanta). Un momento
in cui quel dito di vino dimenticato
nel bicchiere trattiene tutta

la luce che se ne va, e non ha un tremore
come se i tuoi innumerevoli progenitori avessero
vissuto, procreato, fossero morti

solo perché tu vedessi tale immobilità.
C’è questo momento in una estate in cui le estati
appaiono in silhouette, e le foglie più alte

di quegli alberi che sono antichi come la tua ascendenza
stormirebbero di più sotto il respiro
del tuo bimbo che di sopra dorme.

C’è un momento in estate in cui tutto si ferma
(ma la pera non più grande di una bacca
maturerà sotto le foglie)

e tu siedi tanto a lungo alla finestra che la stanza è buia,
e solo questa pagina alzata è illuminata,
anche se le lettere le vedi appena.

Poi guardi fuori di nuovo, e il pero
è sparito, dentro al buio circostante. E il domani
d’ora in poi significa solo questo:

un giorno, poi un giorno, poi un giorno. E la vita,
che una volta era grande come quel mappamondo lì,
ti sta più stretta della tua pelle, e la puoi contare. Continua a leggere

Lorenzo Carnevali, due poesie

Lorenzo Carnevali


Vergine delle rocce

Già tutto sapevamo, tutto
credevamo di sapere,
ma non c’è posto stanotte non c’è verso:

specchio segreto fedele
madre di braccia morbide
madre di rocce roride
rifugio di anfratti furtivi

Beata cosa tu, alla fine
arresa alla Torre di Babele

La casa del buon pastore

Non questa volta non adesso

Non tempo greve accumulo di delirio e divieto
non pioggia acida che affina lama e omicidio

La deliziosa fattura del nido
dove le Muse a convegno allevano
crisalidi e pargoli
distillare aure di mansuetudine
e care armonie date per perse

Dietro le spalle minacce di sagome e ombre
pur sempre memore la furia del Caos

Da: O. Nesci, L. Valentini, TerreRare Le Marche. Poesie di Lorenzo Carnevali, Argalia Editore, 2020 Continua a leggere

Luigia Sorrentino, poesie

Luigia Sorrentino, gennaio 2020

nascosto nella tana dorme il bosco

le mani non sostengono più niente
piccole ossa, radici pietrose
di alberi accresciuti
dal seme oltre misura

l’eterno, la cosa compiuta
nella parola, appare in un coro

**

totale il sentiero della terra

la piccola forma della luce
è una fiamma,

innerva il collo
nel ritmo del torace

così dispiegata nel vento,
nello stesso petto discende

aderendo, siamo succo denso,
qualsiasi cosa, aperta e vuota

mostrata senza palmo
la sua essenza liberata
con la stessa devozione
del tradimento, di tutte le parole
si consuma l’intero universo

**

la massa del fiore
corolla di inesauribile accoglimento
urta il vento

incalcolabile il pianto, dai nudi
occhi scivola,
non è più sua
la piccola vita, si mette via

interrogata trema
fra i tronchi degli alberi

canta, così canta
tutta la notte adagiata Continua a leggere

Christian Sinicco, “Alter”

Christian Sinicco

Da Città esplosa

vidi
un occhio, e saltai l’azzurro
lontano: lo spazio violentava non meno

una città esplosa
di colpo e frenetica
su orizzonti di cielo
con la velocità della bomba
(e in sussulto
in preghiera
calma, il fluido denso
annegare nel caldo violetto di una
radiazione)

l’universo
una città nella stella e
vuoti erodere i motori come vento
tra rovine di civiltà, al collasso
i vapori salire per ricadere

come pioggia,
atomi… fra le ceneri gas di vestiti,
bambini dalle teste dorate rotolanti
nella sabbia, indossare nudi questo bacio

quando la palpebra chiude
forme creare dall’informe

*

quando fra i ruscelli che portano alla metropoli
sgorga e scompare la pozzanghera del cosmo
sulla notte che cade come un’arpa rossa
sul pulviscolo acre rimbombano gli ottoni:
ecco un ragno dove musica la pioggia
forgiare la ragnatela
dei suoni

sulle antiche case e le poltrone grigie
dei brandelli ammassati di una creazione evoluta
nei pergolati bui del cervello veloce
nelle corse luminose dei propri motori
le spire audaci dagli sbuffi ornamentali
vorticano tentacoli che erodono il cemento
meditano piramidi e il triclinio fra gli alberi
capovolti e sderenati che svaporano fra i gas
mutano con le ombre nei silenzi e fra le pause
la sinfonia dei corvi è mangiata dai gabbiani
rosa nell’alba gialla e nucleare
bianchi fra i detriti tra le case
antiche, ridotte a nulla
con occhi e cascate
bruciate oramai,
i vapori

ed appesi come lingue
i sopravvissuti
ragni
muovono sul pulviscolo acre rimbombano gli ottoni
sulla notte che cade come un’arpa rossa Continua a leggere

Liz Lochhead, poesie

Liz Lochhead

ANNEMARIE

Men see men I’ve had it
Up to here absolutely
It’s all off completely.
I said suppose that’ll suit you fine I said
You can go out with your mates
Every night of the week and not just Thursdays
I said,
Look at the state of you
The beer’s all going to your belly already
And coming from the West of Scotland you
Are statistically unlikely
even to reach the age of 25
without false teeth
And to tell the truth
Since we got engaged
You never bother with the Brut
Or the good suit I said
I’m sick to the backteeth of
every time we go for a Chinese
You order
Chicken and chips, fried eggs and peas.
I said No way
Believe me the only way I’d ever consider
The World Cup in Mala-bloody-ga
For my honeymoon
Is if I was guaranteed
An instant trade you in for a
Six foot shit-hot sharp shooter that never failed to hit the spot.
I told him where to stick his bloody
One carat diamond-is-forever.

I blame his mother.

ANNEMARIE

Gli uomini degli uomini ne ho
avuto abbastanza lo giuro
è tutto finito.
Ho detto immagino che ti stia bene ho detto
così puoi uscire con gli amici
tutte le sere e non solo il giovedì
ho detto,
ma guarda come ti sei ridotto
con la pancia già gonfia di birra
e venendo dall’ovest della Scozia
è statisticamente improbabile
che arrivi anche solo ai 25
senza denti finti
e a dir la verità
da quando ci siamo fidanzati
ti sei scordato del Brut
o di un vestito decente
ne ho piene le scatole
ogni volta che andiamo al cinese
tu ordini
pollo e patatine, uova fritte e piselli.
Ho detto Non c’è verso
stanne certo l’unico modo perché prenda in considerazione
la Coppa del Mondo a Mal-edett-aga
per la mia luna di miele
è se avessi la garanzia di
uno scambio immediato tra te e un
fusto superaccessoriato di annessi e connessi che non scazza un colpo.
gli ho detto dove ficcarsi il suo fottuto
un diamanteèpersempre da un carato.

Tutta colpa di sua madre.
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