La poetica di Roberto Almagno

Levità impercettibile e sublime
di Marco Amore

Con una selezione di disegni inediti

La poetica di Roberto Almagno (Aquino, 1954) è caratterizzata da un’apparente semplicità formale che si esprime attraverso l’impiego di materie prime povere come il legno reperito durante lunghe passeggiate nei boschi (in cui sovente gli capita anche di trascorrere la notte all’addiaccio), il carbone vegetale e la cenere, o addirittura gesso e polvere di fuliggine, questi ultimi adoperati per la produzione su carta.

Roberto Almagno – Copyright © Poesia, di Luigia Sorrentino (rainews.it ) – Tutti i diritti riservati.

Le sculture, facilmente riconoscibili per l’eccezionale fluidità con cui si elevano nel vuoto, a volte ricordano caratteri pittografici orientali (mi riferisco a Sineda, 2016; Talari, 2016; Tremula, 2004, ecc.), altre rievocano ghirigori tracciati nell’aria (Nodale, 1999; Col guinzaglio tra le dita, 2015, ecc.), altre ancora apparizioni sarmentose (Vertigine, 1996; Scadaglio, 1996; Varco, 2000; ecc.) ed elementi in equilibrio tra loro (Alata, 2000; Ulimosa, 2003; Elata, 2003; Pura 2001; ecc.). Si tratta di una similarità epidermica, che scompare quando si guarda con sufficiente attenzione ai dettagli. Accade infatti che, come pittogrammi, queste rappresentino astrazioni fedeli di fenomeni naturali quali il vento, il fuoco, l’abscissione delle foglie in autunno; le primitive geometriche di quel dinamismo invisibile che guida il radicarsi di una pianta – tigmotropismo. Un ispirarsi più volte dichiarato dallo stesso Almagno, abituato alla contemplazione estatica propria della meditazione taoista:

«Rami spinti dal vento;
ma il pensiero è fragile, ingenuo.
Così infine quei segni, che mi sono
sembrati tanto forti, svaniscono:
come fossero solo anime mute.»

Roberto Almagno – Copyright © Poesia, di Luigia Sorrentino (rainews.it ) – Tutti i diritti riservati.

Evidente il legame con la poesia, che per Almagno sta nel modo di osservare le cose, nella capacità o meno di vibrare a una frequenza che appartiene alla sfera spirituale, più che all’individualità della persona, e che solo chi è veramente sensibile riesce a captare e interpretare attraverso l’empatia affettiva. Nel guardare i suoi «segni erranti, senza meta» non può sfuggire quel desiderio di ascesi, talmente assoluto da essere una costante nell’opera dell’artista romano: elevazione e rarefazione lirica, evidente nell’affusolarsi delle forme durante il passare degli anni, dalla mostra che segna il suo approdo a una scultura non più giovanile e figurativa, vissuta ancora come un’eco degli insegnamenti di grandi maestri come Giuseppe Mazzullo, incontrato all’Istituto Statala d’Arte di Roma, e Pericle Fazzini, suo insegnate all’Accademia di Belle Arti, fino al vernissage della sua personale tenuta presso la galleria L’Isola nel 1992, dove appare per la prima volta l’archetipo dell’odierna scultura più lieve, minimale quasi all’inverosimile. È come se il superfluo fosse sempre in agguato, impedendo alle mistiche elevazioni scultoree di prendere il volo verso l’ignoto. Continua a leggere

Andrea Inglese, il rapsodo e l’hacker

Andrea Inglese

Nota sulla poetica di Andrea Inglese
di Giuseppe Martella

In un saggio sul realismo nella poesia italiana contemporanea, Andrea Inglese afferma che anche oggi, nonostante il trionfo del capitalismo finanziario e dei suoi meccanismi pervasivi di colonizzazione totale della natura e dell’inconscio, sia dato alla letteratura di rimodellare “in modo inedito i rapporti tra visibile e dicibile”, tra il fenomeno quale appare anzitutto e per lo più, cioè al senso comune delle masse, da un lato, e la rappresentazione critica, (in qualche modo inedita o eversiva) che ne offre l’idioletto verbale di un’opera letteraria, dall’altro. Questa riscrittura del mondo dato costituisce in fondo da sempre la funzione precipua dell’arte, quella “inaugurale”, cioè la sua capacità di schiudere mondi alternativi anche quando non si occupa affatto di criticare quello esistente e si muove piuttosto nei territori della speculazione, del mito o della fantasy. Solo che per ciascuna epoca, genere, linguaggio e autore, questa funzione si realizza in modi distinti e peculiari. Interpretare una data opera, significa fra l’altro chiarire tali modalità di straniamento dell’esperienza comune, cioè i procedimenti con cui essa è capace di trascendere e rinnovare gli automatismi della percezione. E nella singolarità della propria forma, produrre una critica delle abitudini e dei preconcetti invalsi nel proprio tempo, istituendo una tensione fra ciò che abitualmente si vede e ciò che occasionalmente si può mostrare.

L’opera d’arte verbale, nello specifico, può dunque realizzare una critica dell’ideologia dominante anche quando non esibisce alcun impegno politico o realismo ingenuo, per il solo fatto che la sua vocazione antropologica è quella di “rinnovare il dialetto della tribù” (T.S. Eliot) Cioè, paradossalmente, l’arte può sperare di cambiare il mondo solo nella misura in cui è in grado di rinnovare i propri linguaggi. Perciò il formalismo, l’astrattismo, il surrealismo, l’arte per l’arte non hanno impedito affatto una critica dell’ideologia. Quanto detto vale anche in particolare per l’opera di Andrea Inglese perché quella fra visibile e dicibile è proprio la tensione di fondo della sua scrittura. Prima e dentro a ogni contaminazione di genere, la sua sperimentazione si nutre infatti di questa tensione, di questa polarità fra il visibile e il dicibile. Mostra la consapevolezza dello scarto inevitabile fra la effimera ricchezza del vissuto e la durevole povertà della traccia. Continua a leggere

Giuliano Ladolfi, “Attestato”

 

cop (1)Dal risvolto di copertina

La raccolta di Giuliano Ladolfi decifra il travaglio della contemporaneità mediante la specola della parola, smarrita in un divorzio con la realtà, iniziato a fine Ottocento e sofferto nel Novecento nelle conseguenze provocate dalle ideologie, che hanno trasferito il baratro dal settore artistico a quello politico.

La prima parte è dedicata alla fine della società contadina: l’io narrante avverte la difficoltà di lasciare il mondo degli avi, per superare il torrente, la barriera del paese-universo. La città, l’ambiente in cui vive l’interlocutore, si trova già immersa nei nuovi valori: le lotte politiche, i viaggi, la carriera, la tecnologia.

Nella seconda parte l’autore vuole esplorare la città. Il dialogo diventa più serrato ed entra un figlio di vent’anni che vive nella società globalizzata. Continua a leggere

Valentino Zeichen, Tutte le poesie

 

zeichen_valentino_zeichen_roma_6_1E’ in libreria l’Oscar Mondadori di Valentino Zeichen “Poesie 1963-2014”, con l’introduzione di Giulio Ferroni.

 A quarant’anni dal primo volume pubblicato, Area di rigore (1974), Valentino Zeichen raccoglie in un unico volume Tutte le poesie, fino all’ultimo libro pubblicato da Mondadori Casa di rieducazione (2011), e ad alcuni significativi inediti.

Figura di primissimo piano della sua generazione, Zeichen fa coesistere il suo vivacissimo estro, di una intelligenza capace di indimenticabili invenzioni con il disincanto di un’amarezza lucidamente controllata. 

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In memoria di te, Gino De Dominicis

Appuntamento

Gino De Dominicis è uno dei protagonisti dell’arte italiana del secondo dopoguerra. Per esprimere la sua creatività adottò diverse tecniche, la pittura, la scultura, la filosofia, l’architettura.
Scomparve dalla scena pubblica il 29 novembre del 1998, circa 15 anni fa. In realtà, racconta il gallerista romano Pio Monti, marchigiano come De Dominicis e suo grande amico, è proprio di scomparsa che bisognerebbe parlare, non di morte, perché un artista come lui, che ha lavorato sul tema dell’immortalità non può banalmente morire come muore chiunque. Ecco, dunque, che potremmo immaginare De Dominicis come uno che è partito per un paese lontano, come un’essere che si trova in una situazione temporanea, ma anche illimitata, toccato dalla grazia, posto al di sopra del tempo e dello spazio, creatura regale. Continua a leggere