Appassionato, mistico, tenero e doloroso: nell’opera di Emily Dickinson l’amore è declinato in molte forme diverse, tutte intense, sempre liriche. Anche quando la poesia si fonde con la prosa, come in Lettere d’amore. In questa raccolta epistolare c’è tutta la vita di Emily Dickinson: le prime lettere alle amiche del cuore, i biglietti di San Valentino, le missive indirizzate all’amato giudice Lord; il rapporto duraturo con l’amica e poi cognata Susan Gilbert e la morte dei genitori; la relazione letteraria più che ventennale con Thomas Higginson; lo scambio con il «Master», un destinatario che, se mai è esistito, rimane ancora misterioso. L’amore di Emily Dickinson è tutto spirituale eppure compiutamente terreno, pervasivo di ogni aspetto della vita e sorgente di poesia. È forza motrice dell’universo, sotto il cui segno ogni vivente arriva a vedere la luce. Le Lettere d’amore di Emily Dickinson sono l’espressione pura e sublimante di questa potenza primordiale cui tutti dobbiamo e vogliamo soggiacere. Continua a leggere
Monthly Archives: luglio 2018
Vivian Lamarque, Premio Internazionale Cetonaverde Poesia

Vivian Lamarque / Credits ph. Dino Ignani
Vivian Lamarque, con “Madre d’inverno” (Mondadori, Milano 2016), vince Il Premio Internazionale della VII edizione del Premio Cetonaverde Poesia, uno tra i massimi appuntamenti della cultura in Italia, che si celebrerà a Cetona venerdì 13 e sabato 14 luglio.
Il Premio ha le sue radici nella volontà filantropica della fondatrice Mariella Cerutti Marocco e di suo marito Antonio Maria Marocco per dare ai giovani poeti spazio e notorietà nell’espressione artistica. L’iniziativa è sostenuta dalla “Fondazione Antonio Maria e Mariella Marocco per la tutela del libro manoscritto e stampato” nata a Torino nel 1998. All’organizzazione del Premio, sponsorizzato dal Gruppo Atlantia, aderiscono personalità del mondo della cultura, dell’economia e del giornalismo.
Il Premio Cetonaverde Poesia, del quale è presidente d’onore Guido Ceronetti, si articola in due sezioni: il Premio Internazionale e il Premio Poesia Giovani. Continua a leggere
Giorgio Galli, “Le morti felici”

Giorgio Galli
Una nuova enciclopedia dei morti
di Marco Ercolani
Titolo singolare, per un libro, LE MORTI FELICI. L’ossimoro ci guida verso un enigma da cui sorge spontanea la domanda: come può una morte, la “fine” di una vita, essere chiamata “felice”? Il racconto più breve del volume ci suggerisce una spiegazione possibile:
«Morte di Icaro
“Dedalo dovete consolare, è lui che muore disperato. Io sono morto vicino al sole”».
La breve frase pronunciata da Icaro, una frase di gioia esaltante, contrasta con la tragedia conosciuta: il figlio di Dedalo, chiuso con il padre nel labirinto di Creta, si attacca le ali al corpo con la cera e vola via: quando il sole scioglierà, lui precipiterà in mare, morendo. Il breve racconto di Galli non omette la tragica fine ma la trasfigura e fa dire ad Icaro la sua felicità di essere “morto vicino al sole”: un enunciato gioioso, quasi eroico, che ricorda le ultime frasi vergate da Heinrich von Kleist alla sorella Ulrike prima del suicidio: «Immortalità, alla fine sei mia».
Questo rovesciamento prospettico traversa tutti i racconti del libro, che si divide in due sezioni: ISTANTI (L’orizzonte, Il nome, Radicati, Nella vita, Sparire) e STRADE. Proviamo a percorrere, rapsodicamente, le trame di alcuni racconti. Ghiat ad-Din, il poeta Omar Khayyām, chiede una brocca per bere, saggia la direzione dei venti, e si addormenta del sonno profondo dei Sette Sapienti. Turoldo, il cantore delle gesta di Orlando, si pente di essere stato così superbo da firmare con il proprio nome il suo poema. Ugo d’Orleans scrive versi con la sapienza dei teoremi di Euclide. Leonino e Perotino vengono citati come i primi musicisti medioevali di cui si ricordi il nome. Josquin Desprez non teme più la morte perché nella sua musica l’ha saputa modulare a più voci. John Dowland si confessa uomo gaio e vigoroso che ha scritto canzoni tristi per richiudere la malinconia in piccole fiale perfette e poter camminare poi allegro. Il pianista Rudolf Firkusny parla dell’appassionato amore del già anziano Janàcek, insonne e innamorato. Il direttore d’orchestra Antonio Guarnieri, di cui restano rarissime registrazioni, è descritto come un uomo in cui la volontà di perfezione e l’umiltà di sparire sono inseparabili. L’inflessibile Toscanini rivela la sua predilezione per il giovane Guido Cantelli, che morrà prima di lui, in un incidente aereo. Max Brod ci racconta che Kafka avrebbe voluto fossero bruciati i suoi racconti perché parlano di una infelicità che lui adesso, è lontano dal provare. Lo scrittore praghese Bohumil Hrabàl confessa: «[…] Me ne sto qui con la mia famiglia e i miei gatti, aspetto tranquillo la morte perché tanto sono finito e non ho niente da dire, certe notti mi addormento con la finestra aperta e allora sogno Egon o Vladimìr e poi più niente, sono sempre stato fuori dai giochi e me ne sto tranquillo ad aspettare la morte, qui Sull’argine dell’eternità».
Claude Royet-Journoud, “Le nature indivisibili”

Claude Royet-Journoud
Nota di Luca Minola
Libro estremo, selettivo Le nature indivisibili di Claude Royet-Journoud, pubblicato da Effigie nel 2016 e tradotto in maniera netta e inequivocabile da Domenico Brancale, è da codificare in continuazione e richiede studio e assiduità. Non appaiono all’interno le versioni dei testi originali dal francese, per una scelta motivata dall’autore stesso: “Nella traduzione, la lingua di arrivo è la versione originale e non l’inverso. D’altronde la poesia ha un corpo. Un recto, un verso. Uno spazio fisico e uno mentale. E’ racconto-e in una sola lingua. Non scrivo una raccolta, ma un libro. Nelle edizioni bilingue ciò che viene distrutto è la nozione stessa di libro: la doppia pagina (sinistra, destra), l’importanza del voltare pagina, la sospensione della narrazione, il rapporto con il tempo, ecc.”. Quindi l’inappropriato elemento dell’originalità di Royet-Journoud, che preferisce il contrasto, il contrario per eccellenza: liberare la traduzione del testo dalla gabbia della lingua originale o il bisogno della sospensione di spazi e tempo. Piace quello che non è, quello che non c’è, che non si può spiegare e soprattutto che non vuole essere spiegato: e “ho bisogno di pensare alla tua mano sulla carta/è l’esercizio più basso/che permette di seguire/una riduzione geografica/erano in attesa di essere notati”. Incide profondamente sulla lettura una pagina attraversata da una parola asciutta, tagliente, svincolata da un’energia comunicativa. Continua a leggere
Gabriela Fantato, “La seconda voce”
Da LA SECONDA VOCE ( Transeuropa, Massa, 2018)
Cancellazione
I.
Il tormento sfiora ancora le cose
la mattina, nella poca luce, sfiora la tua bocca
dove è offerta in sconto
anche l’infanzia.
Basterebbe poco, la tua benedizione,
un balzo nella schiena, una strana ubriachezza
nel sonno, dove l’argilla ancora asciuga
il confine e non c’è solo
una promessa per anziani, una crepa.
Dalla parte opposta scorrono carrelli
da ipermercato, scivolano dentro
‒ la nostalgia, oltre la ferita.
No, non è grave, questo perdere
questo slittar via, mi dici.
Lo smottamento corteggia la materia,
la mater materia offre nuove legature
e i nostri piedi non tengono il ghiaccio
dentro la gola.
Unica certezza, unica sorte:
una comunità d’ignoti, in marcia, in ressa,
in fuga, nel balzo esatto
dentro l’addio.