Osip Mandel’štam, nell’inferno dei gulag

(da Ottanta poesie, Einaudi, Torino, 2009)

 

Epoca

Chi potrà, mia epoca, mia belva,
fissarti nelle pupille un istante
e di due secoli agganciare le vertebre
incollandole con il proprio sangue?
Le cose terrestri dalla gola
zampillano sangue carpentiere;
sul limitare dei nuovi giorni
chi, se non il mangiaufo, trema?

La creatura fino a che c’è vita
deve in giro portare la sua schiena,
e l’onda, il flutto al gioco si affidano
di un’invisibile spina dorsale.
Tenera cartilagine di bimbo
è l’epoca neonata della terra:
di nuovo hanno sacrificato l’apice
della vita come fosse un agnello.

Per scioglier l’epoca dalle catene,
per dare inizio a un mondo nuovo
bisogna, a mo’ di flauto, unire insieme
le piegature dei nodosi giorni.
È l’epoca a gonfiare d’angoscia
umana il flutto che s’increspa; e l’aurea
misura dell’epoca ha il respiro
della vipera nascosta fra l’erba.

E ancora le gemme si gonfieranno,
la vegetazione schizzerà talli,
ma, epoca mia, bellissima e grama,
è in pezzi la tua spina dorsale.
E con un povero sorriso demente
ti volti a guardare crudele e fiacca,
come una belva che fu agile un tempo,
le orme lasciate dalle tue zampe.

1922 Continua a leggere

Maurizio Cucchi, presentazione a Milano

Maurizio Cucchi

Lunedì 13 maggio 2019 ore 21.00 alla Casa della Cultura di Milano, Presentazione del libro SINDROME DEL DISTACCO E TREGUA di Maurizio Cucchi (Mondadori Editore, 2019)

Intervengono oltre all’autore:

Roberto Mussapi
Salvatore Vec

Modera:
Marina Corona

Dalla sezione FELICITA’ FRUGALE

E allora ho pensato a un personaggio, con un bisogno
crescente di viva frugalita`, di ritrovata manualita` a contatto
diretto con le cose. Cosi` ne ricordavo l’ambiente e le
occupazioni:

Attorno, nei pochi metri quadri,
operazioni al sole.

Con cura elementare alle patate, ai pomodori.
Muovendo col badile, dissodando
osserva con ribrezzo il guizzare di grossi lombrichi,
rossi, disperati. Non lontano le fragole
mature, spettacolari in primavera e ciuffi interi, grappoli
dolcissimi di ribes, a confine… Continua a leggere

E’ stato un grande sogno vivere…

Mario Benedetti

È stato un grande sogno vivere
e vero sempre, doloroso e di gioia.
Sono venuti per il nostro riso,
per il pianto contro il tavolo e contro il lavoro nel campo.
Sono venuti per guardarci, ecco la meraviglia:
quello è un uomo, quelli sono tutti degli uomini.
Era l’ago per le sporte di paglia l’occhio limpido,
il ginocchio che premeva sull’erba
nella stampa con il bambino disegnato chiaro in un bel giorno,
il babbo morto, liscio e chiaro
come una piastrella pulita, come la mela nella guantiera.
Era arrivato un povero dalle sponde dei boschi e dietro del cielo
con le storie dei poveri che venivano sulle panche,
e io lo guardavo come potrebbero essere questi palazzi
con addosso i muri strappati delle case che non ci sono. Continua a leggere

Il destino tragico di Esenin

Sergei Esenin

ODORE UMANO

COMMENTO DI FEDERICA GIORDANO

 

La poesia di Esenin ricorda il linguaggio della Bibbia. La semplicità estrema dello stile e la gravità terrena dei temi diventano mezzi per cantare un prodigio più alto, un mistero che appare minuscolo ed enorme creando un capogiro. In questa poesia, Esenin ci mostra un destino tragico. Il testo ci descrive un animale, ma il lettore sente un’appartenenza, un’esperienza che è stata già vissuta dalla specie, una legge antica che odora di umano. Intanto, mentre si svolge quello che Hölderlin chiama “il grande Destino”, rosicchiano i topi in un angolo.

 

Корова

Дряхлая, выпали зубы,
Свиток годов на рогах.
Бил ее выгонщик грубый
На перегонных полях.

Сердце неласково к шуму,
Мыши скребут в уголке.
Думает грустную думу
О белоногом телке.

Не дали матери сына,
Первая радость не впрок.
И на колу под осиной
Шкуру трепал ветерок.

Скоро на гречневом свее,
С той же сыновней судьбой,
Свяжут ей петлю на шее
И поведут на убой.

Жалобно, грустно и тоще
В землю вопьются рога…
Снится ей белая роща
И травяные луга.

(1915)

La mucca

Decrepita, le sono caduti i denti,
sulle corna un mucchio di anni.
Il rozzo mandriano la picchiava
la spingeva in altri pascoli.

Il cuore non ama il rumore,
rosicchiano i topi in un angolo.
Pensa un triste pensiero
pensa a un vitello dalla zampa bianca.

Non le hanno lasciato il figlio, alla madre,
non le fu di vantaggio la prima gioia.
E su un palo sotto una tremula
un venticello fa ondeggiare una pelle.

Presto su un campo di grano saraceno,
con lo stesso destino del figlio,
le legheranno una corda al collo
e la manderanno al mattatoio.

Lamentose, tristi e più esili
le corna s’infileranno nella terra…
Sogna la mucca un bianco boschetto
E dei prati pieni d’erba.

Traduzione di Eridano Bazzarelli

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