Lo spazio del sacro, lo spazio del testo

NOTE PER UNA RILETTURA di OLIMPIA

di Giuseppe Martella 

  1. Fonti

A una prima lettura, Olimpia (Interlinea, 2013)[1] appare come un diamante: un’architettura splendida e tagliente, immersa nell’azzurro intenso di un cielo mediterraneo. Una creatura di luce: donna, città e dea. Nel corso della lettura, ti rimanda poi figure cangianti in cui ti rifletti ruotandole intorno, come in un assedio senza fine. Una città ben difesa da alti bastioni, sui cui spalti appaiono visioni elusive di larve e di donne, di colossi e di chimere. Una città fuori del tempo, certo, nuova e vecchia insieme, sfuggente visione nel bianco che ti acceca. Un’architettura più che umana che custodisce gelosa i segreti di un mondo e i possibili tempi della sua storia.

Forse per questo, il poemetto ha avuto parecchie, anche lodevoli, recensioni ma a quanto ne so nessun approfondimento critico vero e proprio. Ci si è fermati insomma al miraggio della città e alla superficie del testo. Eppure, nella sua breve e perspicua introduzione, Milo de Angelis ci aveva fornito alcuni validi indizi, se non addirittura le chiavi dell’interpretazione, quando parlava di “libro orfico”, “percorso iniziatico”, “sguardo lungimirante”, “tempo assoluto”, e di quella sensazione del lettore di essere “sempre sulla soglia di una scoperta cruciale”. Questi sono tutti attributi infatti che bene si confanno alla tradizione cui appartiene quest’opera: cioè a quella linea alta, visionaria e veggente, del simbolismo europeo, tra Otto e Novecento, che sfocia poi anche nei migliori esiti del modernismo, secondo traiettorie che vanno da Baudelaire a Rimbaud, da Mallarmé a Valery, in Francia; che in Gran Bretagna, sotto l’influsso congiunto dei classici (greci, latini, rinascimentali) e dei simbolisti francesi, generano le opere memorabili (nel contempo classiche e rivoluzionarie) di Ezra Pound, T.S. Eliot e dell’ultimo Yeats; e che infine in Germania annoverano tutta una schiera di validi poeti, nel lungo arco di tempo che porta da Hölderlin a Rilke, e fino a Paul Celan.

A questa linea appartiene il poemetto di Sorrentino, piuttosto che a quella musicale ed estetizzante che, a partire da Verlaine e attraverso Swinburne in Inghilterra, conduce dritto all’estetismo, al decadentismo e a D’annunzio qui da noi. L’unico poeta italiano che si può dire appartenga a pieno titolo alla linea visionaria di cui dicevo, è a mio avviso Dino Campana. E desta davvero meraviglia che i critici non abbiano osato chiamare in causa l’autore dei Canti Orfici nella lettura di un testo che è stato definito “orfico” nella sua prefazione. Campana è infatti un nume tutelare della poesia di Olimpia molto di più di quanto non lo sia lo Hölderlin evocato in epigrafe. Mi soffermerò perciò in particolare su questo debito, non certo per diminuire il valore della poesia di Sorrentino quanto piuttosto per inquadrarla meglio nel contesto del simbolismo italiano ed europeo, al quale credo fermamente appartenga, e per renderla pertanto più accessibile e significativa. Continua a leggere

Al Madre, “L’amica geniale, visioni dal set”


C O M U N I C A T O   S T A M P A

 

La Film Commission Regione Campania e la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee  presentano L’Amica Geniale – Visioni dal Set, una mostra di Eduardo Castaldo, a cura di Silvia Salvati e Andrea Viliani. 

Il progetto rientra nell’ambito delle iniziative culturali promosse dalla Regione Campania in occasione dell’Universiade Napoli 2019. 

La mostra si sviluppa tra le sale del Madre, il museo d’arte contemporanea della Regione Campania, la Biblioteca Comunale “Giulio Andreoli” e le strade del Rione Luzzatti a Napoli – che fanno da sfondo alla saga letteraria firmata da Elena Ferrante, pubblicata in Italia da E/O,  e alla prima stagione della serie televisiva diretta da Saverio Costanzo, una serie HBO – RAI FICTION e TIMVISION, prodotta da Fandango e Wildside in collaborazione con RAI FICTION, TIMVISION, HBO Entertainment, in co-produzione con Umedia e distribuita internazionalmente da Fremantle in collaborazione con Rai Com. Continua a leggere

Odisseas Elitis, “Marina delle rocce”

Odisseas Elitis

Η Μαρίνα των βράχων

“Εχεις μια γεύση τρικυμίας στα χείλη —Μα πού γύριζες
Όλημερίς τη σκληρή ρέμβη της πέτρας καί της θάλασσας
Άετοφόρος άνεμος γύμνωσε τούς λόφους
Γύμνωσε τήν επιθυμία σου ως το κόκαλο
Κι οί κόρες των ματιών σου πήρανε τή σκυτάλη τής Χίμαιρας
Ριγώνοντας μ’ άφρό τή θύμηση!
Πού είναι ή γνώριμη άνηφορια τού μικρού Σεπτεμβρίου
Στό κοκκινόχωμα όπου έπαιζες θωρώντας πρός τα κάτω
Τούς βαθιούς κυαμώνες τών άλλων κοριτσιών
Τίς γωνιές όπου οί φίλες σου άφηναν άγκαλιές τα διοσμαρίνια

—Μα πού γύριζες
Όλονυχτίς τή σκληρή ρέμβη τής πέτρας καί τής θάλασσας
Σοΰ ’λεγα να μετράς μές στό γδυτό νερό τίς φωτεινές του μέρες
Άνάσκελη να χαίρεσαι τήν αυγή τών πραγμάτων
“Η πάλι να γυρνάς κίτρινους κάμπους
Μ’ ένα τριφύλλι φώς στό στήθος σου ήρωίδα ιάμβου.

“Εχεις μια γεύση τρικυμίας στα χείλη
Κι ένα φόρεμα κόκκινο σαν τό αίμα
Βαθιά μές στό χρυσάφι τού καλοκαιριού
Καί τ’ άρωμα τών γυακίνθων —Μα ποϋ γύριζες

Κατεβαίνοντας πρός τούς γιαλούς τούς κόλπους μέ τα βότσαλα
Ήταν εκεί ένα κρύο αρμυρό θαλασσόχορτο
Μα πιό βαθια ένα άνθρώπινο αίσθημα πού μάτωνε
Κι άνοιγες μ’ έκπληξη τα χέρια σου λέγοντας τ’ όνομά του
‘Ανεβαίνοντας ανάλαφρα ως τη διαύγεια των βυθών
“Οπου σελάγιζε ο δικός σου ο αστερίας.

“Ακουσε, ο λόγος είναι των στερνών η
Κι ο χρόνος γλύπτης τάν ανθρώπων παράφορος
Κι ο ήλιος στέκεται από πάνω του θηρίο ελπίδας
Κι εσύ πιό κοντά του σφίγγεις έναν έρωτα
“Εχοντας μια πικρή γεύση τρικυμίας στα χείλη.

Δέν είναι για να λογαριάζεις γαλανή ως τό κόκαλο άλλο καλοκαίρι
Για ν’ αλλάξουνε ρέμα τα ποτάμια
Καί να σέ πάνε πίσω στή μητέρα τους
Για να ξαναφιλήσεις άλλες κερασιές
“Η για να πάς καβάλα στόν μαΐστρο.

Στυλωμένη στούς βράχους δίχως χτές καί αύριο
Στούς κινδύνους τάν βράχων μέ τή χτενισια της θύελλας
Θ’ άποχαιρετήσεις τό αίνιγμά σου.

Οδυσσέας Ελύτης

Marina delle rocce

Hai un sapore di tempesta sulle labbra − Ma dove vagavi
Tutto il giorno nel duro sogno della pietra e del mare
Vento da aquile ha spogliato i colli
Ha spogliato fino all’osso il tuo desiderio
E le pupille dei tuoi occhi hanno accolto il segnale della Chimera
Rigando di schiuma il ricordo!
Dov’è la consueta erta del breve settembre
Nella rossa terra dove giocavi guardando in basso
I profondi faveti delle altre fanciulle
Gli angoli dove le tue compagne lasciavano bracciate di rosmarino Continua a leggere

Nadia Fusini, “María”

«Sono venuta a confessare un delitto». È una creatura docile e gentile a proferire questa frase terrificante. Si chiama María, ha la fissità di una statua e negli occhi una luce ardente, la stessa dell’isola da cui proviene. L’agente di polizia che in Questura redige la confessione, pur intuendone la pericolosa ambiguità, resta ammaliato e desidera immediatamente conoscere ogni cosa di lei – forse perché, a volte, orientarsi nella vita di una donna significa per un uomo avvicinarsi con ostinazione a se stesso. Fra l’aspirazione al divino e la condanna di avere un corpo, María racconta la sua storia. E rievoca quando rinunciò a tutto per andare a vivere con quello che sarebbe diventato suo marito e insieme il suo carceriere: le loro notti di amore accanito e la vergogna del giorno dopo, la gabbia della gelosia e il miracolo della libertà che non si compie mai. Ammette di essere finita nel labirinto di una passione tanto ineluttabile quanto assassina. Adesso sta scappando, alla ricerca del suo unico figlio. Continua a leggere

La ricerca multiforme di Elio Pagliarani

Elio Pagliarani

da Tutte le poesie (1946-2005), a cura di A. Cortellessa, Garzanti, 2006

Che ci portiamo addosso il nostro peso
lo so, che schermaglia d’amore è adattamento,
guizzo, resistenza necessaria perché baci
la nostra storia i nostri uomo-donna
non solo all’ombra dei parchi
lo imparo ora, forse.
Oh, ma scompagina come il vento
freddo di viale Piave i giorni scorsi, e spaura,
quanto di me non solo porto
sulle spalle, ma mi tocca travasare
adattare al tuo flusso flessibile
e scontroso.
Io che speravo
necessario e sufficiente solo il fiore
che affiora, tocco con le carezze oltre che il tuo
fusto flessibile lo specchio la certezza
di come sia insufficiente il mio amore
per la tua capacità di comprenderlo,
per la tua capacità di comprenderlo
come sia immane il mio bisogno d’amore. Continua a leggere