La poesia di John Barnie

John Barnie

A cura di Giorgia Sensi

Later

When I’m too old for scrambling
Up and down the hills
And valleys of sex, I’ll
Rethink my position,

Look at water
Under a microscope,
The study of clarity;
Float pollen in its lens

Till the nuggets and shields
Come clean
As Trojan gold. I’ll enjoy
The facelessness

Of that; the worth
Of nothing. Then
I might take silence
In sunlight,

Listening for its hiss
In interstices
Of leaves. I’ll sit
With the surface

Of a white page,
And think of cleanness
In a mind prepared to leave.
Everyone else

Will carry on
Living with the red shift,
Each believing of the other:
“He is saying goodbye.”

Dopo

Quando sarò troppo vecchio per scorrazzare
su e giù per i monti
e le valli del sesso,
rivedrò la mia posizione,

osserverò l’acqua
al microscopio,
studio della chiarezza;
farò galleggiare il polline nella lente

finché pepite e scudi
non brilleranno
come oro di Troia. Godrò
di quella impersonalità;

del valore
del nulla. Poi
potrei prendere il silenzio
alla luce del sole,

ascoltarne il sibilo
tra gli interstizi
delle foglie. Siederò
con la superficie

di una pagina bianca,
e penserò alla pulizia
di una mente pronta ad andarsene.
Tutti gli altri

continueranno
a vivere con il red shift,
e ciascuno penserà dell’altro:
“Sta prendendo commiato.” Continua a leggere

Simoncelli, cinque poesie

Stefano Simoncelli, ph. di Daniele Ferroni

COMMENTO DI MATTEO BIANCHI

Dallo sfondo sfocato sono le forsizie a occupare lo sguardo del lettore con i loro fiori di un giallo intenso, ovvero le riserve del presente. Le piante in questione che simboleggiano l’anticipazione di qualcosa, la sua venuta fuori contesto, separano lo spazio vitale del custode dalla casa in disfacimento a cui bada, quasi fosse la carcassa di un passato irreparabile, insolvibile. In un momento tanto incerto e drammatico che impone un severo isolamento, il poeta si nasconde dietro il vissuto di qualcun altro proprio per non rinnegare il suo e metterlo a fuoco. L’io lirico non trova un senso alla memoria che sbiadisce, così la dimora fatiscente svuotata dalle boutade gravose del tempo riecheggia la Villa chiusa di Corrado Govoni, che circondata da una siepe pativa la stessa «solitudine forzata», la stessa ruggine, ma che aspettava la pace. D’altronde, Govoni era solito ricavarsi periodi di distacco totale dal brusio quotidiano per riconoscersi attraverso un ascolto più limpido di sé. Continua a leggere

La poeta pakistana Imtiaz Dharker

Fotografata alla BBC

Traduzione e cura di Giorgia Sensi

The Trick

In a wasted time, it’s only when I sleep
that all my senses come awake. In the wake
of you, let day not break. Let me keep
the scent, the weight, the bright of you, take
the countless hours and count them all night through
till that time comes when you come to the door
of dreams, carrying oranges that cast a glow
up into your face. Greedy for more
than the gift of seeing you, I lean in to taste
the colour, kiss it off your offered mouth.
For this, for this, I fall asleep in haste,
willing to fall for the trick that tells the truth
that even your shade makes darkest absence bright,
that shadows live wherever there is light.

da Luck is the Hook, Bloodaxe, 2018

Il tranello

Nelle ore sprecate, è solo quando dormo
che tutti i miei sensi si svegliano. Nella veglia
di te, il giorno non spunti. Di te mi rimanga
il profumo, il peso, lo splendore, tutta
la notte calcolerei le incalcolabili ore
fino a quando tu non verrai alla porta
dei sogni, portando arance che ti accendono
il viso. Non paga del dono
di vedere te, io mi sporgo a gustarne
il colore, con un bacio sulla bocca che mi offri.
È per questo, per questo, che mi appresto al sonno,
ansiosa di cadere nel tranello che dice la verità,
che perfino la tua ombra alla più cupa assenza è lume,
che le ombre vivono ovunque vi sia luce. Continua a leggere

“Verso le stelle glaciali”

Tommaso Di Dio

Le parole possibili del viaggio. Una nota (in due tempi) su Verso le stelle glaciali di Tommaso Di Dio.

di Emanuele Franceschetti

*

In Verso le stelle glaciali (Interlinea, 2020) Tommaso Di Dio ha raccolto il frutto di sei anni di scrittura poetica. Ne è risultato un testo corposo, articolato, e che fin da subito si rivolge al lettore suggerendogli la non-univocità dei possibili itinerari di lettura. Ne emerge l’idea di un libro senza traiettorie obbligate: un testo in qualche modo aperto, al netto delle mappe e degli itinerari proposti dall’autore. Il tracciato è quadripartito: si può viaggiare nelle storie comuni degli uomini (Hanno freddo/ Le strade, la storia); nella nuda evidenza del dolore e della malattia (L’occhio azzurro/ L’ospedale, la caverna); oppure nella ‘grande’ storia, che è anch’essa vicenda di uomini, viaggi e speranze (1492/ Il mare, la mente, terza sezione). Nella quarta sezione (Verso le stelle glaciali/ Il vento, i pronomi), che mi sembra possa intendersi al contempo come una summa e come un concertato finale, si ha ancora una volta, e con forza, la percezione che il viaggio e lo sguardo siano sovra-individuali, che esista una coralità implicita («Perché noi amiamo/ le nude colline, i tronchi storti»; ma anche «ogni cosa splende/ si perde e dice stai/ fra mondi; confratèrnati»), un destino di tutti, come lo è la storia dell’universo, come lo sono «gli umani sogni». Nella quinta e ultima sezione, Descrizione delle mappe, Di Dio colloca delle prose, quasi delle lunghe ekphrasis ‘a distanza’. Sono le descrizioni delle nove immagini (le mappe) che il lettore ha incontrato nel corso del viaggio. Immagini che vengono in tal modo illuminate di senso, retrospettivamente. Alla fine del viaggio, il lettore può ricominciare il cammino con diversa consapevolezza: “La mappa smette di mostrare una direzione e mostra invece se stessa”. Tutto diventa così circolare e plurale: le prose sono testi poetici, organici alla raccolta, ma sono anche funzionali; indicano se stesse, ma rimandano ad altro. Hanno, forse, valenza allegorica, come le stelle glaciali.

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Respiro, biopoetica del Covid 19

ph. di Luigia Sorrentino

Penuria d’aria

di Giuseppe Martella

Da un paio di decenni a questa parte, sono gradualmente venute in voga negli Stati Uniti delle correnti critiche che vanno nel complesso sotto l’etichetta di biopoetica o darwinismo letterario. A parte la faziosità, il velato razzismo e l’eccesso di semplificazione che caratterizzano alcuni fra questi contributi, vi si trovano tuttavia diversi aspetti interessanti che si possono riassumere in una reazione salutare agli eccessi opposti del testualismo e del culturalismo registrati nei decenni precedenti, e soprattutto nella costante propensione a un dialogo costruttivo fra le due culture, umanistica e scientifica. Si sta cercando insomma di teorizzare un nuovo equilibrio tra i fattori naturali e quelli culturali nello sviluppo e nella selezione delle forme, dei generi e dei modi dell’invenzione letteraria e artistica, alla luce delle più recenti acquisizioni della biogenetica e della teoria dell’evoluzione, aprendo così lo storicismo classico agli orizzonti della preistoria. Sintetizzando drasticamente, si può affermare che l’obiettivo primario di questo approccio critico basato sulla biologia è quello di capire se l’attività artistica in generale può essere considerata tra i comportamenti che hanno dato un vantaggio evolutivo alla specie umana. Qui non è certo il caso di entrare in ulteriori dettagli, perciò faccio riferimento alle ottime, recenti sintesi di Michele Cometa sull’argomento[1].

Incrociando questo approccio biopoetico con gli importanti studi di metaforologia condotti intorno alla metà del Novecento da filosofi del calibro di Gaston Bachelard, Paul Ricoeur, Hans Blumenberg, Max Black ed altri, a me interessa soprattutto esplorare l’idea di una economia dell’immaginario e congetturarne le possibili mutazioni in una situazione di emergenza come quella attuale, dove la pressione dell’ambiente sul singolo si intensifica al punto di spostare le condizioni della selezione sociale verso quelle dell’esperimento eugenetico.

Nel quadro di riferimento qui sommariamente delineato, mi soffermerò in particolare sul topos della “penuria d’aria”, prendendo spunto da una antologia poetica appena uscita per i tipi di Samuele editore: Dal sottovuoto. Poesie assetate d’aria. Continua a leggere