Maurizio Cucchi, la potenza della lingua

Con il patrocinio di Corte Micina, Associazione Culturale –

 

I poeti dello Specchio

Presentazione a Roma, alla Casa delle Letterature, di SINDROME DEL DISTACCO E TREGUA, (Mondadori 2019),  del nuovo libro di poesie di uno dei massimi poeti contemporanei, Maurizio Cucchi.

La poesia di Maurizio Cucchi

Sindrome del distacco e tregua è un’opera essenziale, in cui convogliano tutte le tematiche della poesia di Cucchi: la ricerca dell’identità, la necessità del rapporto diretto con la quotidianità, la tematica del viaggio inteso come percorso di conoscenza,  il superamento dei generi letterari, poesia-prosa.

Il linguaggio

Chiunque conosca la poesia di Maurizio Cucchi sa quanto sia fondamentale per questo autore, l’uso della lingua. In questa raccolta, in particolare, la voce del poeta è ustionata e, al tempo stesso, fierissima e acuta. E’ una la lingua potente, che deflagra al contatto abrasivo con la materia, spietata e irriducibile, e oppone resistenza alla biografia, alla faglia interiore e perpetua della perdita.

(Luigia Sorrentino)

VEDI QUI CONVERSAZIONE CON MAURIZIO CUCCHI

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Mario Benedetti, un canto doloroso e di gioia

Mario Benedetti, Credits photo Dino Ignani

E’ stato un grande sogno vivere
e vero sempre, doloroso e di gioia.
Sono venuti per il nostro riso,
per il pianto contro il tavolo e contro il lavoro nel campo.
Sono venuti per guardarci, ecco la meraviglia:
quello è un uomo, quelli sono tutti degli uomini.
Era l’ago per le sporte di paglia l’occhio limpido,
il ginocchio che premeva sull’erba
nella stampa con il bambino disegnato chiaro in un bel giorno,
il babbo morto, liscio e chiaro
come una piastrella pulita, come la mela nella guantiera.

Era arrivato un povero dalle sponde dei boschi e dietro del cielo
con le storie dei poveri che venivano sulle panche,
e io lo guardavo come potrebbero essere questi palazzi
con addosso i muri strappati delle case che non ci sono.

Da Umana gloria, Mondadori, 2004

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Il tessuto fonico di Eugenio Montale

Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale
siccome i ciottoli che tu volvi,
mangiati dalla salsedine;
scheggia fuori del tempo, testimone
di una volontà fredda che non passa.
Altro fui: uomo intento che riguarda
in sé, in altrui, il bollore
della vita fugace – uomo che tarda
all’atto, che nessuno, poi, distrugge.
Volli cercare il male
che tarla il mondo, la piccola stortura
d’una leva che arresta
l’ordegno universale; e tutti vidi
gli eventi del minuto
come pronti a disgiungersi in un crollo.
Seguìto il solco d’un sentiero m’ebbi
l’opposto in cuore, col suo invito; e forse
m’occorreva il coltello che recide,
la mente che decide e si determina.
Altri libri occorrevano
a me, non la tua pagina rombante.
Ma nulla so rimpiangere: tu sciogli
ancora i groppi interni col tuo canto.
Il tuo delirio sale agli astri ormai.

da OSSI DI SEPPIA (1925) Continua a leggere

Come si può leggere una poesia

Biancamaria Frabotta, Credits photo Dino Ignani

di Carmelo Princiotta

Notte della memoria

Messi a tacere i testimoni scomodi
spente le gesta e le genti scampate
agli argini smossi, disseminati
monti d’abiti smessi, denti d’oro, pennini
e sciarpe e scarpe e più di cento spille
come quando s’empie il cielo di stelle…

Notte della memoria è una breve poesia apparsa ne La pianta del pane (Mondadori, 2003) e poi compresa in Tutte le poesie 1971-2017 (Mondadori, 2018) di Biancamaria Frabotta. Non tutte le poesie del libro sono titolate, quindi il titolo, se presente, ha un valore semantico importante e non una semplice funzione identificativa. Notte della memoria è il contrario di Giorno della Memoria. Perché questo titolo? Forse perché, mentre celebriamo il Giorno della memoria, in realtà viviamo la Notte della memoria. Notte della memoria è una poesia di preoccupazione testimoniale: nasce dal silenzio forzato dei testimoni (un silenzio dovuto a cause biologiche – i testimoni dei campi di annientamento non vivranno per sempre – o a responsabilità politiche e civili, come il negazionismo o la crisi di coscienza storica in cui versa l’Occidente). Questo non è detto. Vediamo come si comporta la poesia. Notte della memoria riprende uno dei pochi punti d’intensità di Auschwitz di Salvatore Quasimodo («e ombre infinite di piccole scarpe / e di sciarpe d’ebrei: sono reliquie») e lo trasforma in una sigla autoriale (la paronomasia è un po’ la “firma” di Frabotta): la paronomasia scarpe/sciarpe è preceduta dalla paronomasia smossi/smessi e seguita dalla paronomasia spille/stelle, per di più esposta in chiusa come una para-rima (con un rilievo certo maggiore rispetto alla rima imperfetta scampate : disseminati). Non è un vezzo manieristico, come il gesto del pittore che si ritrae nei propri quadri, prestando il volto a un personaggio magari secondario, la creazione di un campo di tensione semantica. La metafora del titolo veicola un contenuto etico. Continua a leggere