Tranströmer e il poema invisibile

Tomas Tranströmer

DIETRO LA LINGUA, UN’ALTRA LINGUA

COMMENTO DI FEDERICA GIORDANO

Let me sketch two ways of looking at a poem. You can perceive a poem as an expression of the life of the language itself, something organically grown out of the very language in which it is written…impossible to carry over into another language. Another, and contrary, view is this: the poem as it is presented is a manifestation of another, invisible poem, written in a language behind the common languages. Thus, even the original version is a translation. A transfer into English or Malayalam is merely the invisible poem’s new attempt to come into being”.

Queste parole sono di Tomas Tranströmer, Premio Nobel per la Letteratura 2011. La concezione di poesia come traduzione di una lingua “dietro” le lingue comuni è particolarmente sorprendente, visto che ad esporla è un poeta. L’apparente semplicità di questa affermazione è invece smentita dalle ricadute che essa ha sulla figura del poeta stesso e sul lettore. Più che un creatore, il poeta è un tramite tra l’essenza e la lingua, un fiducioso anello di congiunzione che rende non solo possibile, ma necessario l’esercizio della traduzione. Continua a leggere

Osip Mandel’štam, nell’inferno dei gulag

(da Ottanta poesie, Einaudi, Torino, 2009)

 

Epoca

Chi potrà, mia epoca, mia belva,
fissarti nelle pupille un istante
e di due secoli agganciare le vertebre
incollandole con il proprio sangue?
Le cose terrestri dalla gola
zampillano sangue carpentiere;
sul limitare dei nuovi giorni
chi, se non il mangiaufo, trema?

La creatura fino a che c’è vita
deve in giro portare la sua schiena,
e l’onda, il flutto al gioco si affidano
di un’invisibile spina dorsale.
Tenera cartilagine di bimbo
è l’epoca neonata della terra:
di nuovo hanno sacrificato l’apice
della vita come fosse un agnello.

Per scioglier l’epoca dalle catene,
per dare inizio a un mondo nuovo
bisogna, a mo’ di flauto, unire insieme
le piegature dei nodosi giorni.
È l’epoca a gonfiare d’angoscia
umana il flutto che s’increspa; e l’aurea
misura dell’epoca ha il respiro
della vipera nascosta fra l’erba.

E ancora le gemme si gonfieranno,
la vegetazione schizzerà talli,
ma, epoca mia, bellissima e grama,
è in pezzi la tua spina dorsale.
E con un povero sorriso demente
ti volti a guardare crudele e fiacca,
come una belva che fu agile un tempo,
le orme lasciate dalle tue zampe.

1922 Continua a leggere

Le rive del sole di Ingeborg Bachmann

Ingeborg Bachmann

LE ONDE DEL DESTINO DI INGEBORG BACHMANN

commento e traduzione di alessandro bellasio

Tra le voci più alte e le esperienze più decisive della grande poesia europea del XX secolo, Ingeborg Bachmann (Klagenfurt, 1926 – Roma, 1973) ha saputo declinare in molteplici forme il suo talento letterario, dando vita non solo alle indimenticabili liriche di “Invocazione all’Orsa Maggiore“, ma anche a romanzi vibranti e tormentati come il celebre “Malina” (primo dell’incompiuto ciclo dei Todesarten, i “modi di morire”), così come a lucidi e accorati volumi di racconti (“Il trentesimo anno” e “Tre sentieri per il lago”), oltre che a drammi e saggi radiofonici, tra i quali ricordiamo “Il buon Dio di Manhattan”, o “Il dicibile e l’indicibile“, testimonianza quest’ultimo della profondità filosofica, oltre che critica, della ricerca perseguita dalla poetessa austriaca.
In “Herzzeit”, pubblicato in Italia con il titolo “Troviamo le parole”, è inoltre radunato il vorticoso, febbricitante scambio epistolare che la Bachmann intrattenne con Paul Celan – il grande poeta della Bucovina a un tempo amante, amico, confessore e sodale.

Proponiamo qui la poesia di apertura della raccolta “Die gestundete Zeit“ (Il tempo dilazionato), con la quale Bachmann esordì nel 1953, appena ventisettenne, sbalordendo pubblico e critica per la maturità e la perfezione del dettato. Continua a leggere

Non sprecare il tuo amore

Adrienne Rich

For the dead

I dreamed I called you on the telephone
to say: Be kinder to yourself
but you were sick and would not answer

The waste of my love goes on this way
trying to save you from yourself

I have always wondered about the left-over
energy, the way water goes rushing down a hill
long after the rains have stopped

or the fire you want to go to bed from
but cannot leave, burning-down but not burnt-down
the red coals more extreme, more curious
in their flashing and dying
than you wish they were
sitting long after midnight

Per i morti

Ho sognato di chiamarti al telefono
per dirti: Sii più dolce con te stesso
ma eri malato, non mi hai risposto

Lo spreco del mio amore va per la sua strada
cercando di salvarti da te stesso

Ho sempre pensato ai residui
di energia, a come l’acqua scorra giù da un colle
dopo l’arrestarsi delle piogge

o del fuoco da cui vorresti prendere commiato,
vorresti andare a letto
eppure non puoi lasciarlo,
è sempre lì, pronto a spegnersi ma non si spegne mai
i carboni sempre più vividi, sempre più strani
prima sfolgorano poi s’acquetano
più di quanto tu voglia restare
seduto lì a mezzanotte inoltrata.

Traduzione di Giovanni Ibello Continua a leggere