Carol Ann Duffy, “Valentine”

Carol Ann Duffy

      VALENTINE

 

Not a red rose or a satin heart.

I give you an onion.
 It is a moon wrapped in brown paper.
 It promises light
 like the careful undressing of love.

Here.
 It will blind you with tears
 like a lover.
 It will make your reflection
 a wobbling photo of grief.

I am trying to be truthful.

Not a cute card or a kissogram.

I give you an onion.
 Its fierce kiss will stay on your lips,
 possessive and faithful
 as we are,
 for as long as we are.

Take it.
 Its platinum loops shrink to a wedding-ring,
 if you like.
 Lethal.
 Its scent will cling to your fingers,
 cling to your knife.

      A SAN VALENTINO

 

Non una rosa rossa o un cuore di raso.

Ti dò una cipolla.
 E’ una luna avvolta in ruvida cart a scura.
 Promette luce
 come il lento spogliarsi dell’amore.

Eccola.
 Ti accecherà di lacrime
 come un amante.
 Renderà il tuo riflesso
 un traballante ritratto di dolore.

Sto cercando di essere onesta.

Non un biglietto lezioso o baci per interposta persona.

Ti dò una cipolla.
 Il suo bacio pungente resterà sulle tue labbra,

possessivo e fedele
 come noi,
 finché lo saremo noi.

Prendila.
 I suoi cerchi di platino si riducono a un anello nuziale,
 se vuoi.
 Letale.
 Il suo odore si appiccicherà alle tue dita,
 al tuo coltello.

VALENTINE, di Carol Ann Duffy, tratta da La donna sulla luna, poesie scelte di Carol Ann Duffy, a cura di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti, Le Lettere, 2011

 

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Poesie d’amore di Carol Ann Duffy

Carol Ann Duffy

 

A CURA DI BERNARDINO NERA E FLORIANA MARINZULI

Nata a Glasgow verso la fine del 1955, Carol Ann Duffy è la primogenita di una famiglia cattolica di estrazione sociale operaia, composta dal padre Frank Duffy, dalla madre Mary Black e da altri quattro fratelli. All’età di sei anni Carol Ann si trasferisce insieme alla famiglia a Stafford, nel nord dell’Inghilterra, per motivi di lavoro del padre.

L’esperienza di emigrazione e sradicamento dalle proprie origini scozzesi risulterà decisiva nella formazione del carattere dell’allora bambina Carol Ann. In particolare, lo stato di iniziale esclusione da parte dei coetanei inglesi e la conseguente alienazione nel vivere fra due dimensioni, quella domestica, familiare, rassicurante contrapposta a una dimensione a lei estranea, nuova e alla quale vi è la necessità, seppur con fatica, di integrarsi e adattarsi, la portano a sviluppare una sensibilità singolare nei confronti degli accenti e della lingua in generale.

L’interesse per la poesia nasce tra i banchi della St. Joseph’s Convent School, incoraggiata dalla sua insegnante, June Scriven, che ne aveva individuato la naturale inclinazione, ma è la città di Liverpool, dove Carol Ann Duffy si trasferisce nel 1974 per intraprendere gli studi di filosofia, a iniziarla ai numerosi poetry reading messi in scena in città e a farle da scuola di formazione artistica.

A Liverpool Carol Ann frequenta assiduamente Adrian Henri, e fin d’allora tra i due nasce un intenso rapporto affettivo e artistico che originò la composizione dell’opera poetica scritta in coppia e pubblicata in tiratura limitata nel 1977, con il titolo Beauty and the Beast.

Il 1985 è l’anno dell’esordio letterario con la pubblicazione della prima raccolta poetica, Standing Female Nude, accolta assai positivamente dalla critica. Seguono Selling Manhattan (1987), The Other Country (1990), Mean Time (1993), The World’s Wife (1999), Feminine Gospels (2002), Rapture (2005), e The Bees (2011) che le valgono tra i più importanti riconoscimenti poetici, dal Dylan Thomas Award del 1989 per The Other Country al prestigioso T. S. Eliot Prize del 2005 per Rapture, al Costa Book Awards per la penultima raccolta della poetessa: The Bees (2011). L’ultima antologia poetica pubblicata con il titolo Sincerity, è del 2018 ed è stata tradotta in italiano da Bernardino Nera e Floriana Marinzuli, nel 2020 per l’editore Ladolfi.

Il 1 maggio 2009 Carol Ann Duffy viene nominata Poet Laureate del Regno Unito. Oltre a essere consacrata ufficialmente voce poetica più significativa e amata del paese, la sua nomina segna una svolta memorabile nella tradizione letteraria britannica. È difatti la prima donna, omosessuale dichiarata, a rivestire tale carica in 341 anni di laureateship al maschile. Nel succedere ad Andrew Motion, Duffy si dichiara onorata dell’incarico e non nasconde di aver umilmente accettato a nome di tutte le donne, proprio perché nessun’altra prima di allora era stata insignita di tale onorificenza.

La nomina a Poet Laureate di Carol Ann Duffy segna finalmente l’agognato riconoscimento da parte delle istituzioni della poetessa a figura pubblica.

L’incarico conferitole dalla Regina Elisabetta, che prevede la composizione di versi in occasione di eventi ufficiali, ha dato nuova linfa al suo genio creativo e ha messo fine a un lungo periodo di silenzio, segnato dalla grave perdita della madre e dalla separazione dalla poetessa scozzese Jackie Kay.

L’antologia Lo splendore del tempio, pubblicata dall’editore Crocetti nel 2012, dalla quale sono tratte alcune delle poesie tradotte in italiano da Bernardino Nera e Floriana Marinzuli che presentiamo ai lettori del blog, include in maniera completa ed esaustiva gran parte delle poesie d’amore pubblicate dal 1985, compreso l’intero indice di un’antologia pubblicata nel 2010 con il titolo Love Poems. L’opera, insignita nel 2013 con il Premio Achille Marazza per la traduzione poetica, rappresenta una silloge i cui testi di volta in volta trattano i molteplici volti dell’amore, nelle sue diverse declinazioni e manifestazioni di passione, brama e struggimento che si tramutano in stati di sofferenza, separazione, perdita e lutto, e al contempo giocano sull’elemento dell’ambiguità nei riguardi dell’oggetto del desiderio, al quale sovente non è dato né un nome né un’identità specifici, innescando in tal modo un’opera di esplorazione e rinegoziazione dei rapporti tra innamorati con l’intento, da parte della poetessa, di sovvertire la divisione sbilanciata di potere tra uomo e donna, amante e amata su cui da sempre la tradizione lirica amorosa si è basata. Continua a leggere

Una poesia di Carol Ann Duffy

Carol Ann Duffy

      THE LONG QUEEN

The Long Queen couldn’t die.
 Young when she bowed her head
 for the cold weight of the crown, she’d looked
 at the second son of the earl, the foreign prince,
 the heir to the duke, the lord, the baronet, the count,
 then taken Time for a husband. Long live the Queen.

What was she queen of? Women, girls,
 spinsters and hags, matrons, wet nurses,
 witches, widows, wives, mothers of all these.
 Her word of law was in their bones, in the graft
 of their hands, in the wild kicks of their dancing.
 No girl born who wasn’t the Long Queen’s always child.

Unseen, she ruled and reigned; some said
 in a castle, some said in a tower in the dark heart
 of a wood, some said out and about in rags, disguised,
 sorting the bad from the good. She sent her explorers away
 in their creaking ships and was queen of more, of all the dead
 when they lived if they did so female. All hail to the Queen.

What were her laws? Childhood: whether a girl
 awoke from the bad dream of the worst, or another
 swooned into memory, bereaved, bereft, or a third one
 wrote it all down like a charge-sheet, or the fourth never left,
 scouring the markets and shops for her old books and toys –
 no girl growing who wasn’t the apple of the Long Queen’s eye.

Blood: proof, in the Long Queen’s colour,
 royal red, of intent; the pain when a girl
 first bled to be insignificant, no cause for complaint,
 and this is to be monthly, linked to the moon, till middle age
 when the law would change. Tears: salt pearls, bright jewels
 for the Long Queen’s fingers to weigh as she counted their sorrow.

Childbirth: most to lie on the birthing beds,
 push till the room screamed scarlet and children
 bawled and slithered in their arms, sore flowers;
 some to be godmother, aunt, teacher, teller of tall tales,
 but all who were there to swear that the pain was worth it.
 No mother bore daughter not named to honour the Queen.

And her pleasures were stories, true or false,
 that came in the evening, drifting up on the air
 to the high window she watched from, confession
 or gossip, scandal or anecdote, secrets, her ear tuned
 to the light music of girls, the drums of women, the faint strings
 of the old. Long Queen. All her possessions for a moment of time.

      LA REGINA LUNGA

La Regina Lunga non poteva morire.
 Giovane quando chinò il capo
 al freddo peso della corona, aveva guardato
 il figlio cadetto del conte, il principe forestiero,
 l’erede al ducato, il lord, il baronetto, il visconte,
 e poi preso per marito il Tempo. Lunga vita alla Regina.

Di che cosa era regina? Donne, ragazze,
 zitelle, streghe e befane, balie, vedove,
 mogli, matrone, madri di tutte costoro.
 La parola della sua legge l’avevano nelle ossa, nell’innesto
 della mano, nel piede scatenato nel ballo.
 Non c’era bimba al mondo che non fosse figlia della Regina Lunga.

Non vista, lei governava e regnava; alcuni dicevano
 in un castello, alcuni dicevano in una torre nel cuore di tenebra
 di un bosco, alcuni dicevano in giro cenciosa, travestita,
 a separare i buoni dai cattivi. Spediva lontano i suoi esploratori
 nel cigolio delle navi ed era regina di altre ancora, di chi,
 ora non più, in vita era stata femmina. Viva la Regina.

Quali erano le sue leggi? Infanzia: se una ragazza
 si destava dal peggiore dei sogni, o un’altra
 illanguidiva nei ricordi, affranta, desolata, o una terza
 annotava tutto in un atto d’accusa, o la quarta mai s’allontanava,
 e perlustrava mercati e negozi alla ricerca dei suoi vecchi libri e giocattoli –
 non c’era ragazza che crescesse che non fosse beniamina della Regina Lunga.

Sangue: prova, nel colore della Regina Lunga,
 il rosso reale, di intenti; il dolore quando una ragazza
 la prima volta mestruerà sarà insignificante, da non lamentarsi,
 e una volta al mese, legato alla luna, fino alla mezza età,
 quando la legge cambierà. Lacrime: perle di sale, gioielli lucenti
 che le dita della Regina Lunga peseranno nel contarne la pena.

Parto: le più giaceranno sul letto di travaglio,
 spingeranno con urla che faranno scarlatta la stanza e i bambini
 gli guizzeranno strillanti fra le braccia, fiori ammaccati;
 alcune saranno madrine, zie, maestre, affabulatrici,
 ma chi l’avrà provato giurerà che il dolore valeva la pena.
 Nessuna madre ha partorito figlia che non onorasse nel nome la Regina.

E i suoi piaceri erano le storie, vere o false,
 che giungevano la sera, e per l’aria salivano su
 all’alta finestra da cui lei guardava, confessione
 o pettegolezzo, scandalo o aneddoto, segreti, l’orecchio teso
 alla musica lieve delle ragazze, i tamburi delle donne, le flebili corde
 delle vecchie. Regina Lunga. Tutto le sue ricchezze in cambio di un attimo di tempo.

Una poesia di Carol Ann Duffy, ‘The Long Queen’ tratta da La donna sulla luna, a cura di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti, Le Lettere, 2011

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In memoria di te, Adrian Henri

Adrian Henri

Quest’anno (20 dicembre 2020)  ricorre il ventennale della morte del poeta e artista britannico Adrian Henri. Per commemorarlo, pubblichiamo un’ampia pagina con alcune delle sue poesie più significative con le versioni in italiano tradotte da Bernardino Nera.
Alla fine due poesie dedicate da una giovanissima Carol Ann Duffy al suo mentore, Adrian HenriLa traduzione delle poesie della Duffy è di Bernardino Nera e Floriana Manzuli.

LIVERPOOL 8

Liverpool 8…A district of beautiful, fading, decaying Georgian
terrace houses…Doric columns supporting peeling entablatures,
dirty windows out of Vitruvius concealing families of happy
Jamaicans, sullen out-of-work Irishmen, poets, queers, thieves,
painters, university students, lovers…

The streets named after Victorian elder statesmen like Huskisson,
the first martyr to the age of communications whose choragic
monument stands in the tumble-down graveyard under the cathedral…
The cathedral which dominates our lives, pink at dawn and grey at sunset…
The cathedral towering over the houses my friends live in…

Beautiful reddish purplish brick walls, pavements with cracked
flags where children play hopscotch, the numbers ascending in silent sequence
in the mist next morning…Streets where you
play out after tea…Back doors and walls with names, hearts,
kisses scrawled or painted…

Peasants merrymaking after the storm in Canning Street, street
musicians playing Mahler’s Eight in derelict houses…White
horses crashing through supermarket windows full of detergent
packets…Little girls playing kiss-chase with Mick Jagger in
the afternoon streets…

A new cathedral at the end of Hope Street, ex-government surplus
from Cape Kennedy ready to blast off taking a million Catholics
to a heaven free from Orangemen…Wind blowing inland from Pierhead
bringing the smell of breweries and engine oil from ferry boats…

LIVERPOOL 8

Liverpool 8…Un quartiere di case a schiera in stile georgiano, belle, fatiscenti
in rovina…Colonne doriche che sorreggono architravi scrostati,
sudice finestre fuori dai canoni vitruviani che nascondono
famiglie di giamaicani felici, ombrosi irlandesi disoccupati,
poeti, omosessuali, ladri, pittori, studenti universitari, amanti…

Le strade intitolate ai maggiori statisti vittoriani come Huskisson,
il primo martire dell’età delle comunicazioni il cui imponente
monumento si erge nel cimitero diroccato sotto la cattedrale…
La cattedrale che domina le nostre vite, rosa all’alba e grigia al tramonto…
La cattedrale che torreggia sulle case dove vivono i miei amici…

Bei muri dai mattoni rossastri, marciapiedi dai lastroni scheggiati
dove i bambini giocano a campana, i numeri crescenti in silenziosa sequenza
nella foschia del mattino seguente…Strade dove vai
a giocare fuori dopo la merenda…Porte di servizio e muri graffiati
o dipinti con nomi, cuori, baci…

A Canning Street contadini festosi dopo il temporale,
musicisti di strada che suonano l’Ottava di Mahler in case abbandonate…
Cavalli bianchi che sfondano le vetrine dei supermercati
piene di pacchi di detersivo…Nel pomeriggio ragazzine che giocano
con Mick Jagger a rincorrersi a caccia di baci…

Una nuova cattedrale in fondo a Hope Street, retaggio del governo passato
pronta a decollare da Cape Kennedy con un milione di cattolici
diretti verso un paradiso senza protestanti…Il vento soffia all’entroterra da Pierhead portando l’odore delle distillerie e della nafta dei traghetti… Continua a leggere

Carol Ann Duffy, “Christmas Poems”

Carole Ann Duffy

Da Un Natale inglese, poesie scelte (Christmas Poems di Carol Ann Duffy), a cura di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti, illustrazioni di Simone Pagliai, Editoriale Le Letter, 2018

The Christmas Truce

Christmas Eve in the trenches of France,
the guns were quiet.
The dead lay still in No Man’s Land –
Freddie, Franz, Friedrich, Frank . . .
The moon, like a medal, hung in the clear, cold sky.

Silver frost on barbed wire, strange tinsel,
sparkled and winked.
A boy from Stroud stared at a star
to meet his mother’s eyesight there.
An owl swooped on a rat on the glove of a corpse.

In a copse of trees behind the lines,
a lone bird sang.
A soldier-poet noted it down – a robin
holding his winter ground –
then silence spread and touched each man like a hand.

Somebody kissed the gold of his ring;
a few lit pipes;
most, in their greatcoats, huddled,
waiting for sleep.
The liquid mud had hardened at last in the freeze.

But it was Christmas Eve; believe; belief
thrilled the night air,
where glittering rime on unburied sons
treasured their stiff hair.
The sharp, clean, midwinter smell held memory.

On watch, a rifleman scoured the terrain –
no sign of life,
no shadows, shots from snipers,
nowt to note or report.
The frozen, foreign fields were acres of pain.

Then flickering flames from the other side
danced in his eyes,
as Christmas Trees in their dozens shone,
candlelit on the parapets, and
they started to sing, all down the German lines.

Men who would drown in mud, be gassed, or shot,
or vaporised
by falling shells, or live to tell,
heard for the first time then –
Stille Nacht. Heilige Nacht. Alles schläft, einsam wacht …

Cariad, the song was a sudden bridge
from man to man;
a gift to the heart from home,
or childhood, some place shared …
When it was done, the British soldiers cheered.

A Scotsman started to bawl The First Noel
and all joined in,
till the Germans stood, seeing
across the divide,
the sprawled, mute shapes of those who had died.

All night, along the Western Front, they sang,
the enemies –
carols, hymns, folk songs, anthems,
in German, English, French;
each battalion choired in its grim trench.

So Christmas dawned, wrapped in mist,
to open itself
and offer the day like a gift
for Harry, Hugo, Hermann, Henry, Heinz …
with whistles, waves, cheers, shouts, laughs.

Frohe Weinachten, Tommy! Merry Christmas, Fritz!
A young Berliner,
brandishing schnapps,
was the first from his ditch to climb.
A Shropshire lad ran at him like a rhyme.

Then it was up and over, every man,
to shake the hand
of a foe as a friend,
or slap his back like a brother would;
exchanging gifts of biscuits, tea, Maconochie’s stew,

Tickler’s jam … for cognac, sausages, cigars,
beer, sauerkraut;
or chase six hares, who jumped
from a cabbage-patch, or find a ball
and make of a battleground a football pitch.

I showed him a picture of my wife.
Ich zeigte ihm
ein Foto meiner Frau.
Sie sei schön, sagte er.
He thought her beautiful, he said.

They buried the dead then, hacked spades
into hard earth
again and again, till a score of men
were at rest, identified, blessed.
Der Herr ist mein Hirt … my shepherd, I shall not want.

And all that marvellous, festive day and night,
they came and went,
the officers, the rank and file,
their fallen comrades side by side
beneath the makeshift crosses of midwinter graves …

… beneath the shivering, shy stars
and the pinned moon
and the yawn of History;
the high, bright bullets
which each man later only aimed at the sky.

La tregua di Natale

Vigilia di Natale nelle trincee francesi,
i cannoni tacevano.
I morti non si muovevano nella Terra di Nessuno –
Freddie, Franz, Friedrich, Frank …
La luna, come una medaglia, pendeva nel cielo terso e freddo.

Sul filo spinato il luccicchìo della brina era bizzarra
canutiglia d’argento.
Un ragazzo di Stroud fissò una stella
per incontrarvi lo sguardo della madre.
Un gufo piombò su un ratto sul guanto di un morto.

In un boschetto nelle retrovie,
un uccellino solitario cantò.
Un soldato-poeta lo annotò – un pettirosso
mantiene il suo territorio invernale –
poi scese il silenzio e come una mano toccò ogni singolo uomo.

Qualcuno baciò l’oro del suo anello;
alcuni accesero la pipa;
quasi tutti, nei loro pastrani, si strinsero
ad aspettare il sonno.
Il fango liquido si era infine indurito nel gelo.

Ma era la vigilia di Natale; credete; la fede
elettrizzava la notte,
e la brina luccicante sui figli insepolti
ne impreziosiva i capelli irrigiditi.
L’odore aspro, secco dell’inverno serbava il ricordo.

Una sentinella perlustrava il terreno –
non un segno di vita,
né ombre né spari di cecchini,
nulla da notare o riportare.
Gli agri stranieri, gelati, erano campi di dolore.

Poi fiammelle tremolanti dalla parte opposta
gli danzarono negli occhi,
brillarono come decine di alberi di Natale,
lucine di candela sui parapetti, e
là, lungo le linee tedesche, si cominciò a cantare.

Uomini che sarebbero annegati nel fango, gassificati, annichiliti,
colpiti
da scrosci di granate, o sopravvissuti per raccontare,
udirono allora per la prima volta –
Stille Nacht. Heilige Nacht. Alles schläft, einsam wacht …

Cariad, il canto fu un ponte improvviso
da uomo a uomo;
un dono al cuore da casa,
o dall’infanzia, da un luogo condiviso …
Finita la canzone, i soldati britannici applaudirono.

Un soldato scozzese attaccò a squarciagola The First Noel
e tutti dietro,
finché i tedeschi si alzarono in piedi, e videro
attraverso la linea di separazione,
le forme mute, scomposte, di chi era morto.

Per tutta la notte, lungo il Fronte Occidentale, cantarono,
i nemici –
canti di Natale, canzoni popolari, inni nazionali,
in tedesco, inglese, francese;
ogni battaglione in coro nella sua cupa trincea.

Così spuntò l’alba di Natale, avvolta nella nebbia,
per aprirsi
e offrire quel giorno come un dono
a Harry, Hugo, Hermann, Henry, Heinz …
con fischi, saluti, urrà, grida, risate.

Frohe Weinachten, Tommy! Merry Christmas, Fritz!
Un giovane di Berlino,
brandendo schnapps,
fu il primo a uscire dal fossato.
Un ragazzo dello Shropshire gli corse incontro come una rima.

E fu tutto un correre su, ognuno di loro,
a stringere la mano
del nemico come fosse un amico,
o dargli una pacca sulla spalla come un fratello;
e scambiarsi doni di biscotti, tè, stufato Machonochie,

marmellata Tickler… cognac, salsicce, sigari,
birra, sauerkraut;
o rincorrere sei lepri, saltate fuori
da un orticello di cavoli, o trovare un pallone
e trasformare un campo di battaglia in un campo di calcio.

Gli ho mostrato una foto di mia moglie.
Ich zeigte ihm
ein Foto meiner Frau.
Sie sei schön, sagte er.
Quanto è bella, ha detto lui.

Poi seppellirono i morti, spinsero le vanghe
nella terra indurita
più e più volte, finché una ventina di uomini
non furono in pace, identificati, benedetti.
Der Herr ist mein Hirt … il mio pastore, non manco di nulla.

E per tutto quel giorno e quella notte, festosi, meravigliosi,
ci fu un viavai
di ufficiali, di truppa,
i compagni caduti fianco a fianco
sotto le croci improvvisate di tombe invernali …

… sotto le stelle timide, tremule
e la luna infilzata
e lo sbadiglio della Storia;
i proiettili lucidi, alti
che ciascun uomo da allora diresse soltanto al cielo. Continua a leggere