Leopardi nostro contemporaneo

di Fabio Izzo

Il conte Giacomo Leopardi (Recanati, 29 giugno 1798– Napoli, 14 giugno 1837) è stato uno dei più grandi intellettuali di sempre. A oggi è ritenuto il maggior poeta dell’Ottocento italiano ed è una delle più importanti figure della letteratura mondiale; la profondità della sua riflessione sull’esistenza e sulla condizione umana – di ispirazione sensista e materialista – lo rendono filosofo di spessore. Inoltre è il primo poeta italiano chiamato a riscattare l’uomo nella sua integralità individuale e sociale dalle sempre più presenti discriminazioni sociali e morali derivate dai progressi industriali. Il suo pensiero è più contemporaneo che mai, la sua sensibilità artistica, la sua arguzia intellettuale l’hanno portato a prevedere e a profetizzare .

“Con lieve moto in un momento annulla
in parte, e può con moti
poco men lievi ancor subitamente
annichilire in tutto.
Dipinte in queste rive
son dell’umana gente
le magnifiche sorti e progressive”

La Ginestra

La ginestra, o Il fiore del deserto è la penultima lirica di Giacomo Leopardi, scritta nella primavera del 1836 a Torre del Greco nella villa Ferrigni e pubblicata postuma nell’edizione dei Canti nel 1845. A quel tempo il mondo era in tumulto, la maggior parte degli intellettuali italiani era impegnata ad animare dibattiti sull’opportunità di adottare le macchine frutto della moderna tecnologia rampante, gli emigrati politici facevano ritorno dall’Inghilterra e si spellavano le mani plaudendo ai progressi dell’industria inglese mentre Giacomo Leopardi arrivava a Napoli per morirvi, contemplando le rovine della città e della civiltà, sepolte dalla lava dell’eruttante forza esplosiva sprigionata dalla potenza naturale del Vesuvio. Proprio qui il poeta arriverà a concludere che la forza della natura è infinitamente più potente di ogni invenzione tecnica umana.

Lo Ziibaldone (Zibaldone di pensieri) è un diario personale che raccoglie una grande quantità di appunti scritti tra il mese di luglio/agosto 1817 e dicembre 1832 per un totale di 4526 pagine. In questa importante opera Leopardi elenca le invenzione più “fantastiche” e meravigliose del suo tempo come ad esempio la mongolfiera, il vapore e il telegrafo ma nega che esse possano migliorare la condizione umana. A suo dire non possiamo crederci fortunati di possedere energie produttive un tempo sconosciute! Tra qualche decennio il progresso sarà già andato ben oltre, sviluppatosi oltremodo, e i posteri non potranno far altro che valutare le condizioni precedenti come stati selvaggi. Bisogna inoltre comprendere che la sfiducia che il poeta di Recanati pone nel benessere portato dall’industria coincide con le prime pesanti conseguenze che l’industrialismo riversa pesantemente sui lavoratori. Il sarcasmo leopardiano è quindi una pura e semplice diffidenza verso il progresso scientifico in genere e rivela l’incidenza dell’industria nei confronti della dignità individuale. L’industrializzazione selvaggia può rendere l’uomo indifferente nei confronti dei suoi simili, riducendolo a semplice meccanismo di un gigantesco ingranaggio di cui non si sente parte.
La “felicità delle masse” è per il conte di Recanati lo specchio per le allodole, dove si insidia l’infelicità dei singoli individui. Ne il Dialogo di Tristano e di un Amico (ultimo testo delle Operette morali) Leopardi scrive che“ Sostituire l’individuo con le masse vuole dire che è inutile che l’individuo si prenda nessun incomodo poiché, per qualunque suo merito, neanche quel misero premio della gloria gli resta più a sperare, né in vigilia né in sogno… mentre tutti gli infimi si credono illustri, ma l’oscurità e la nullità dell’esito diviene il fato comune e degli infimi e dei sogni.”

In Leopardi la certezza che il poeta sia chiamato a essere la prima vittima morale della produzione industriale e del suo regime è chiara e drammatica come in nessun altro autore dell’Ottocento italiano. Se un artista non si arrende a diventare araldo del progresso, del potere imperante, inevitabilmente non potrà che essere neutralizzato. Così avremo solo libri conformi lanciati sui più grandi mercati che avranno il compito di lodare e plaudire al nuovo ordine. Continua a leggere

Philip Roth e la poesia

di Fabio Izzo
Philip Milton Roth è uno scrittore statunitense, tra i più noti e premiati della sua generazione. Il suo successo letterario ha inizio con “Addio, Columbus e cinque racconti” (Goodbye, Columbus, 1959) ( opera con cui ha vinto il National Book Award), ma la sua fama è sicuramente dovuta a “Lamento di Portnoy”, testo che viene a volte indicato come scandaloso. Da allora si è ritagliato un posto di grande interesse, i suoi numerosi lettori sono sempre in trepidante attesa per l’uscita del prossimo titolo, con una produzione lunga e costante. Ora ha annunciato il suo ritiro, ma può uno scrittore ritirarsi davvero? Comunque i suoi estimatori, l’hanno proposto più volte per il Premio Nobel, premiandolo nel frattempo con molti altri riconoscimenti. Roth è infatti il terzo scrittore americano che ha ricevuto l’onore di vedere pubblicata in vita la sua opera completa dalla Library of America. Inoltre nel 2011 ha vinto il Man Booker International Prize e nel 2012 il Premio Principe delle Asturie.

Soffermandoci tra le pagine di “ Why Write? Collected nonfiction 1960-2013”, raccolta di testi dell’autore americano, possiamo arrivare a dire che no, Roth non ha scritto poesie, ma sicuramente ne ha lette visto che in diverse occasioni lo scrittore di origine ebraica per motivare le sue opinioni si rifugia nella poesia.

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Beppe Fenoglio

Beppe Fenoglio


di Fabio Izzo

“Pioveva su tutte le Langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sotto terra.
Era mancato nella notte di giovedì l’altro e lo seppellimmo domenica, tra le due messe. Fortuna che il mio padrone m’aveva anticipato tre marenghi, altrimenti in tutta la casa nostra non c’era di che pagare i preti e la cassa e il pranzo ai parenti. La pietra gliel’avremmo messa più avanti, quando avessimo potuto tirare un po’ su la testa.”

Incipt de La Malora

Beppe Fenoglio è stato un vero uomo di Langa (in piemontese). L’incipit de “ La Malora”, a mio modesto parere è uno degli inizi maggiormente riusciti della nostra letteratura. Questo estratto infatti rende al meglio l’idea dell’intensità del rapporto tra lo scrittore e la sua terra, ufficialmente inclusa, insieme al Roero Monferrato, nella lista dei beni del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Fenoglio ne ha raccontato la storia e le vicissitudine nelle pagine dei suoi romanzi “I ventitré giorni della città di Alba”, “La malora”, “Una questione privata”, “Il partigiano Johnny” e “La paga del sabato”. Continua a leggere

Czesław Miłosz

di Fabio Izzo

Czesław Miłosz descrive la condizione divisa dell’individuo all’interno di un regime totalitario, attribuendone la libertà di pensiero e parola ad una pratica eretica, il ketman, che basa i suoi principi sulla dissimulazione, sulla perfetta comprensione e conversione dei meccanismi di censura in cui viene applicata.

Nell’inverno del 1948-49 un funzionario polacco, navigando in un fiume della Pennsylvania in canoa, prima del tramonto, stava in attesa della comparsa dei castori, animali in via di estinzione in Europa. Allo stesso modo si mise a contemplare la scomparsa del suo mondo, il mondo dell’essenza e dell’eterna verità, considerando la sconfitta del governo stalinista dove si formò culturalmente. Così deciderà poi di lasciare il partito. Scriverà in seguito: “stare in America voleva dire scegliere la vita al suo livello biologico.

Quest’ uomo fu anche un poeta conosciuto con il nome Czesław Miłosz e descrisse la sua esperienza in “Natura”…In America,
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Vladimir Levchev

di Giovanni Ibello

“Amore in piazza” (Terra d’ulivi, 2016) di Vladimir Levchev è una straordinaria raccolta antologica che, secondo il parere di chi scrive, è un manifesto che definisce una certa idea di poesia.
L’opera (tradotta da Emilia Mirazchiyska e Fabio Izzo) è ripartita in tre sezioni: “Amore”, “In piazza” e “Dio”.
Partiamo, insolitamente, dal mezzo: nella sezione “In piazza” l’opera assume i toni freddi e disadorni della migliore poesia civile. D’altra parte, l’autore decide arbitrariamente di valicare lo spazio incolore della narrazione, così che la parola poetica apra un transito, una necessaria connessione tra i freddi resoconti della cronaca (nella fattispecie la dittatura di Zivkov) e l’infinita grazia del sogno. Continua a leggere