Adele Desideri, “La figlia della memoria”

adeleDalla nota di Franco Loi

L’infanzia e l’adolescenza, risorgenti in noi durante l’intera vita come un sogno, sono la radice stessa dell’esistere. Spesso non si sa dove e come si siano nascoste, se mai ci siano state. Spesso ci richiamano, in un alternarsi di luce e buio significativi. È il tempo in cui intuiamo e pratichiamo l’essenza stessa di ogni cosa e ci nutriamo della gioia e dei più profondi dolori. È anche il tempo in cui ci si guarda e si riflette: ogni istante diventa uno specchio – nei rapporti con la natura, con le persone, col nostro corpo. Non c’è nessuno a cui riferire le nostre emozioni, le esperienze. Sentiamo che non saremo capiti. Abbiamo una precoce sensazione dell’inadeguatezza degli adulti, soprattutto nelle nostre esperienze più profonde. Scrive infatti Adele: «Come avrei potuto spiegare a mamma (…) che il mio corpo era diventato “i miei corpi”: uno sopra, come una nuvola, e uno sotto, immobilizzato?». È quello anche il tempo in cui si vedono i fantasmi, si sentono le voci, si prevede il domani. Continua a leggere

Roberto Alperoli: “La poesia purifica la lingua, la salva”

roberto

Roberto Alperoli

INTERVISTA di Guido Monti

Incontro Roberto Alperoli ideatore e direttore artistico di Poesia Festival Terre dei Castelli, uno degli eventi più riusciti per qualità e progettualità culturale che si tiene da dodici anni nel territorio emiliano. Ci sediamo in una trattoria di Modena molto nota vicino al teatro Storchi. La canicola del sole settembrino ci riporta in pieno agosto. I suoi occhi in attesa di domande, hanno quella vividezza e curiosità propria di quei bimbi al culmine della fanciullezza. Roberto nel tuo libro,“Il cielo di oggi”, di qualche hanno fa, in una poesia molto toccante dal titolo “La madre”, dici : “E’ tanto tempo/che non mi manchi più,/che non mi chiami; /eppure sei stata tu // la mano del mio principio, l’assunto abbagliante/del mio dolore; //…”. Ecco allora potrei girarti questa poesia in forma di domanda.

Come è maturata in te la decisione di creare questo festival nel 2005 assieme ai compagni del primo momento Alberto Bertoni e Paola Nava? Forse appunto perché la poesia la sentivi come mano del tuo principio e volevi però anche tenacemente mostrarla ad una comunità più ampia? Avevi intuito che questo territorio potesse avere in sé quel terreno di coltura per la crescita della pianta poetica?

Ho un lungo rapporto con la poesia, che fa parte della mia vita da sempre, direi. La leggo, la scrivo, la seguo nella sua dimensione pubblica. Il suo valore, la sua importanza – anche terapeutica – la sperimento (l’ho sperimentata) su di me, sulle persone che conosco. Anche sul valore pubblico, civile, etico della poesia rifletto da tempo. Soprattutto oggi che la lingua è stata colpita al cuore, che il linguaggio è un lungo, ininterrotto boato di frasi fatte, inerti, di parole caricaturali, senz’anima. La nostra è un’epoca di monotonia espressiva, spettacolare e rumorosa. La lingua è gridata nelle trasmissioni televisive, mortificata dalla pochezza della politica, massificata e banalizzata dal web, orfana dei comportamenti e dei modelli che, un tempo, ne sapevano custodire la vocazione civile. Il linguaggio della politica, poi, ne ha enfatizzato l’impotenza. Il dolore della lingua è proprio la sua inespressività. E nel frastuono e nell’impoverimento delle parole siamo tutti più poveri. Ecco, salvare la lingua, il bene pubblico della lingua, significa allora salvare noi stessi, le nostre emozioni e i nostri pensieri, che solo il linguaggio rende comprensibili e comunicabili. Ed è qui il valore della poesia, che si oppone a questo collasso perché è un ingrediente attivo del linguaggio, uno spazio per la propria identità. Purifica la lingua, rimette al mondo l’innocenza delle parole. Si oppone alla miseria individuale e alla miseria pubblica. Continua a leggere

Rudy Toffanetti, “Sul confine”

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a cura di Luigia Sorrentino

Dalla Prefazione di Davide Rondoni

Cosa è questa poesia sospesa tra il liceo e l’abisso? Questa voce che porta con sé senza vergogna (e perché dovrebbe?) insegnamenti ginnasiali, vocalità e costruzioni primo novecentesche, sperdimenti foscoliani (siamo in zona Pavia no?) e deviazioni, radicali e fulminanti osservazioni sulla vita contemporanea?
Ha un talento – lo dice anche Loi nella sua notarella da segugio. Ma non basta il talento mai. Occorre altro. Ok, certo il lavoro. E qui ce n’è parecchio. Letture molte e molto orecchio, e corpo a corpo con molti poeti, dall’antichità alla migliore tradizione italiana. Ma il talento e il lavoro non bastano per fare un poeta. Occorre un’altra cosa. Occorre il pianto. E si fottano tutti i letterati dal ciglio asciutto che credono che la poesia sia combinare parole e citazioni. Occorre il pianto. Occorre avere – come si intravvede in queste pagine – una figura troppo magra che ti ferisce, un destino che ti strappa il cuore. […]
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Padri 2: “Il tema del padre nella poesia italiana del Novecento”

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A Milano, al Laboratorio Formentini, giovedì dalle ore 19:30 alle ore 20 secondo appuntamento: “Il tema paterno nella poesia italiana del Novecento”.

A cura di Milo De Angelis.

Letture di Viviana Nicodemo

Giovanni Pascoli, Umberto Saba, Camillo Sbarbaro,  Salvatore Quasimodo, Leonardo Sinisgalli, Alfonso Gatto,  Pier Paolo Pasolini, Franco Loi, Cesare Viviani,  Roberto Mussapi, Maria Pia Quintavalla, Mario Benedetti, Alberto Bertoni, Giuseppe Genna.

Casa della Poesia di Milano – Via Formentini,10

 

Cristina Annino, “Anatomie in fuga”

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di Daniele Campanari

Pensandoci, il cuore se ne va da qualsiasi posto se non ci vuole stare. Gli occhi pure, che non sanno soltanto guardare avanti ma anche dietro. Le mani, poi, le mani riescono addirittura a toccare le cose che stanno più in alto di tutte. Anatomie in fuga sembra dire ciò che può fare un corpo umano, che se non è agguantare è fuggire. Da chi, da cosa? Certamente non dalla poesia. Perché Cristina Annino (pseudonimo di Cristina Fratini) è estremamente poetica coi suoi versi raccolti in questo libretto di centoquattordici pagine Continua a leggere