VARI∃AZIONI

IL FESTIVAL

A Rotondi, in provincia di Avellino, dal 27 al 29 agosto si terrà la prima edizione di Vari∃Azioni, iniziativa promossa dall’amministrazione comunale di Rotondi e dal sindaco, Antonio Russo, in collaborazione con la cooperativa Altre Voci e la Samuele Editore e con il patrocinio dell’Accademia Mondiale della Poesia e della Fondazione Greco Morra per l’Arte Contemporanea.

Direzione artistica: Marco Amore
Editore e Direttore della Sezione poesia: Alessandro Canzian

GRAPHEIN

Parola e Immagine hanno una radice comune, non a caso i greci adoperavano il verbo graphein per indicare lo scrivere e il dipingere. Analogia che diviene ancor più evidente quando parliamo del legame tra le arti figurative e la poesia. Come recita una famosa espressione di Orazio: ut pictura poesis (come nella pittura così nella poesia). Frase che potrebbe essere assimilata all’imperativo categorico della narrativa moderna: show, don’t tell  (mostra, non dire).

 

La manifestazione culturale indaga il rapporto tra linguaggio poetico e visivo, con particolare attenzione alle ricerche di stampo interdisciplinare. Un momento di confronto cui hanno aderito alcuni dei maggiori poeti e artisti contemporanei, nato dalla volontà di contaminare il tessuto sociale e urbano del comune di Rotondi attraverso conferenze, reading di poesia, esposizioni, proiezioni di video tematici, interventi performativi e installazioni site-specific.

Alcuni protagonisti del Festival:

Un importante lavoro di squadra che abbraccia l’intero territorio rotondese, la sua storia, gli abitanti e le tradizioni, alla luce di un festival che vede Rotondi farsi protagonista del panorama artistico nazionale e internazionale, grazie all’adesione di nomi di altissimo livello. Tutto parte dalla necessità di rispondere a un bisogno culturale che diviene sempre più pressante all’interno del nostro paese e che riguarda non solo l’arte contemporanea, di cui Rotondi rappresenta una tappa fondamentale per gli operatori di settore, ma anche la poesia e più in generale le arti creative. Proseguiamo nella profonda e radicata convinzione che sia il linguaggio dell’Arte e della Poesia la chiave di volta e di interpretazione del mondo. Di tutti i mondi. Anche di quelli apparentemente lontanissimi tra loro”.

Antonio Russo
Sindaco del Comune di Rotondi

Da anni il Comune di Rotondi vede l’arte contemporanea come lo strumento più idoneo a raccontare la storia, le tradizioni, il folklore e le produzioni locali; a costruire un vero e proprio marchio del luogo. Le numerose rassegne dedicate agli artisti di via Varco a partire dal 2014 ne sono una chiara testimonianza. È con questa consapevolezza che intendiamo lavorare sul territorio rotondese dando vita a forme di narrazione visiva in grado di raccontare al mondo la nostra storia e la nostra cultura: un’idea strategica di sviluppo a lungo termine che ambisce a utilizzare l’arte come mediatore tra il paese, i suoi abitanti e i visitatori, seguendo il principio di slow art per investire su esperienze di turismo non stagionale”.

Claudio Vittorio
Consigliere delegato e Assessore alla Comunità Montana Partenio-Baianese-Vallo di Lauro

Sentiamo parlare spesso della funzione sociale dell’arte e del suo farsi forma di comunicazione universale: un compito che non può esaurirsi con l’adulterazione dell’opera in mero strumento di denuncia personale legato a rielaborazioni arbitrarie di contingenze storiche, funzione che l’artista svolge in maniera quasi accidentale, ma che investe la parola poetica della responsabilità di un impegno civile indifferibile contro l’illegalità delle life politics e tutte quelle energie negative che operano contro la bellezza che resiste nel mondo”.

Marco Amore
Poeta e Direttore Artistico del Festival

Un momento importante che mette a confronto alcuni dei protagonisti più importanti della poesia italiana contemporanea. Da sempre la nostra nazione e cultura è stata abitazione e trincea di una letteratura altissima e combattuta, che oggi trova diverse critiche per la deriva più o meno consapevole della critica. Dove tutto appare poesia, dove tutto giustifica il palco di Castelporziano che sempre si ricrea nel suo crollo, noi abbiamo cercato la costruzione di un dialogo attraverso le voci e il dibattito. Non solo letture, ma punto di riflessione. Noi con questo Festival vogliamo mettere un punto a una riflessione di cui sentiamo sempre più il bisogno”.

Alessandro Canzian
Editore e Direttore della Sezione Poesia Continua a leggere

La Collana gialla, un nuovo sodalizio : Pordenonelegge e Samuele Editore

Gian Mario Villalta, Valentina Gasparet, Alberto Garlini, Curatori di Pordenonelegge – immagine adnKronos

Ritornano a settembre gli appuntamenti con le novità editoriale di pordenonelegge: la collana Gialla e la collana Gialla Oro, rinnovate in tutto, grazie alla nuova collaborazione con Samuele Editore.

Le Collane Gialla e Gialla Oro, progetto editoriale di pordenonelegge e Lietocolle che negli anni si è consolidato ottenendo attenzione e consenso, rilancia con profonda convinzione la propria idea di cultura e poesia all’interno della nuova collaborazione con Samuele Editore. Il progetto della Gialla ha per anni accolto voci di autori già conosciuti da chi segue la vicenda attuale della poesia, considerandoli testimoni del panorama nazionale. Il progetto della Gialla Oro ha invece proposto opere di autori che avevano già trovato riconoscimento e che in questa Collana hanno confermato il loro desiderio di dialogo e condivisione.

Un’amplificazione della vocazione coltivata da pordenonelegge nel corso di numerosi anni: il dialogo, l’incontro, la ricerca di quella condivisione come vero luogo della parola e vera distanza, che sempre di nuovo si azzera e si ricompone, tra il poeta e il lettore. Condividendo il progetto pordenonelegge e Samuele Editore aprono una nuova stagione, fiduciosi nell’energia di un nuovo inizio. Un nuovo dialogo, un nuovo fare, nella
traccia di un percorso assodato che si incammina verso una nuova avventura in poesia. Continua a leggere

La poesia di Gian Mario Villalta

Gian Mario Villalta

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

Se penso al tempo mio diventa ora di tutti
– il tempo – se mi perdo nel tempo ridivento io.”

Questa poesia di soli due versi è il nucleo centrale per leggere le Poesie abbandonate di Gian Mario Villalta. Poesie non finite, non concluse, lasciate lì, come si lascia l’infanzia e l’adolescenza, su un territorio di confine.

I componimenti parlano del tempo: “se mi perdo nel tempo ridivento io.”, ma il tempo ha cambiato “l’istante dell’estate”. Il corpo ora è nell’inverno, esposto sulla riva di un gran fiume.

La materia dei versi è invasa da una sostanza plasmata, ma non finita, come le sculture sottili e gracili di Giacometti che avanzano senza direzione nello spazio.

Le dita del tempo hanno lasciato impronte dure, abrase, frastagliate sui corpi scolpiti.

Ti ha lasciato più solo quella specie di sogno” scrive Villalta. L’uomo che guarda e ricorda il ragazzo sente di aver consumato il tempo della vita: “un’erba stremata”.

Le poesie si affacciano su un tempo in cui si pensa di sapere, ma non si comprende quel che realmente accade. L’universo dell’adolescenza emerge allora come condizione esistenziale di un presente incompiuto, in cui qualcosa si è “abbandonata”.

Nell’età dell’adolescenza non c’è nessuna traccia della fine o del bene, perché è un’età priva di finalità, nessuna fine o bene, può esserle attribuita. Ecco quindi che l’epoca, la nostra, si sgretola nel paesaggio e dall’isolamento si assiste a una guerra senza armi, senza nemici.

Oltre al primo esergo che richiama le parole di Giacometti, colpisce il secondo esergo, un verso di Andrea Zanzotto: “… vacillano le scale dell’inverno” tratto da Dietro il paesaggio, (1951) raccolta con poesie scritte tra il 1940-1948, il periodo della seconda guerra.

Il poeta porge al lettore solo le iniziali del nome del grande poeta friulano, quasi ci fosse una volontà di anonimato e al tempo stesso un’identificazione con il proprio maestro e tra “la guerra” alla quale ha assistito Zanzotto nella brigata partigiana con scene crude, la morte degli amici, dei compagni e quella alla quale assiste il poeta Villalta. Ecco che ritorna nell’uomo adulto la parola necessaria, che chiede di capire quello che accade nel mondo. Una parola che diventa resistenza, materia dura, fredda, sulla nuda pelle.

 

Poesie abbandonate

Giacometti non si stancava mai di ripetere che un’opera d’arte
non può mai dirsi finita. Semplicemente, la si interrompe o la si
abbandona

… vacillano le scale dell’inverno
A. Z.

Sono libri difficili, pagine oscure, ma non vuoi che ti basti
vivere con il pasto che aspetta coperto da un piatto
dopo la scuola, un futuro migliore di speranze non tue.
Viene luce più tardi. Il cielo rimena
macerie. L’erba è stremata. Tu non capisci tutto
ma sei sicuro che capiscono te
le parole che un uomo ha scritto e ti immagini
la sua vita, con quei pensieri, la pianura
e la città di ferro che ordina in cerchio l’inverno,
luce che piove amara, uno lo ferma per strada
vicino all’erba, ai container, parlano di queste cose.

*

Ti ha lasciato più solo quella specie di sogno
che hai attraversato passando nel corridoio
dal bagno alla cucina dopo che ti ha trascorso
l’istante di un’estate di venti anni fa
– fine della gioventù – un brivido
nella luce gialla di agosto.
Adesso che arriva il piovere
la luce lascia le lastre
per stare nascosta nell’aria.
Tutto è più di una volta. Ascolta mentre rammendano
la musica uccelli e foglie
quanto il tempo è immenso.
Che abbia bisogno di un corpo ossa budella un sesso
e le vene la merda è inaudito che tutto il tempo
abbia bisogno delle tue povere mani per essere qui. Continua a leggere

Piero Bigongiari, “l’amore del mondo”

Piero Bigongiari

 Il tuo occhio guarda nel fuoco
 la visione brucia
 un gelo nutre il seme della luce
 nel ghiaccio, la banchisa
 celeste si sfa.
 Io non so quel che è stato
 la terra si cretta, escono scorpioni
 il ragno sale al centro della tela
 il mare opina
 che il sole esiste per tingersi di terra
 sulle acque pensieroso.
 Non oso, amore, non oso
 chiamarti.
 Appoggiata a una domanda non è una risposta
 ma tutto l’amore del mondo
 è una parola.

 Piero Bigongiari, una poesia da Antimateria, Mondadori, 1972

 ***

 Ti perdo per trovarti, costellato
 di passi morti ti cammino accanto
 rabbrividendo se il tuo fianco vacuo
 nella notte ti finge un po’ di rosa.

 Quali muri mutevoli, tu sposa
 notturna, quale spazio abbandonato
 arretri al niveo piede, al collo armato
 del silenzio dei cerei paradisi

 che in festoni di rose s’allontanano?
 Eco in un’eco, mi ricordo il verde
 tenero d’uno sguardo che dicevi
 doloroso, posato non sai dove

 di te, scoccato dentro il misterioso
 pianto ch’era il tuo riso. Oh, non io oso
 fermarti! non i muri che dissipano
 di bocci fatui un’ora inghirlandata.

 Odi il tempo precipita: stellata,
 non so, ma pure sola Arianna muove
 dalla sua fedeltà mortale verso
 dove il passo ritrova l’altra danza.

 Piero Bigongiari, una poesia da La figlia di Babilonia, Parenti, Firenze, 1992

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Francesco Maria Terzago, da “Caratteri”

Francesco Maria Terzago

DEDICA

Mia nonna mi chiamava tesoro, lipscén
diceva e mi appoggiava una mano sulla testa
e mi diceva che era stanca. Vedi lipscén le stelle
che sono sopra di noi, il cielo – l’universo che
non ha confini pensa – a tutte le cose che ci sono
dentro pensa agli anni che ci separano e pensa
a quante persone, in questo preciso momento,
ed è possibile che sia così – tesoro, lipscén – si
staranno parlando delle stesse cose, e ci sarà una
brutta donna come me che piange dicendo al nipote
cose come queste. Lassù vorticando su delle
pietre azzurre come la terra – che è una pietra azzurra
anche se il suolo è velenoso e non devi mettertelo
in bocca quando fai i tuoi giochi, mi raccomando
lipscén, tesoro, e pensa che siamo degli atomi
tenuti assieme senza un apparente motivo, perché
siamo fatti così? Fatto sta che lo siamo. E che
questi atomi ci saranno sempre, – questi atomi
ci saranno, anche quando io non ci sarò più, –
in questo modo – e non mi potrai parlare né
ascoltare. E non ricorderai più il timbro della mia voce
che ora ti è così familiare, – né questo volto rugoso
con cui ti addormenti. Perché mi sarò fatta cremare.
E mi si potrà tenere in una scatola per le scarpe
se lo vorrai. Ma quegli atomi lipscén, tesoro, chissà
che il tempo non passi per essi a una velocità differente,
che per loro il tempo sia ben poca cosa, almeno
a confronto del nostro. E io, credo, ti aspetterò
in una sala come questa o migliore. E ci sarà un momento
in cui questi atomi si riuniranno e io sarò di nuovo qui
e anche tu lo sarai, che nel frattempo avrai fatto la tua vita,
anche tu morto, passato per la vecchiaia –. E sarai
di nuovo. E ci troveremo assieme da qualche parte,
appunto. Tu, io, tua mamma, tutti quelli che vorranno.
Tutti assieme. E capendo la cosa incredibile che ci è successa
potremo stare assieme e non incontrare più la tristezza
di questa vita o il disfacimento. Sono molto stanca lipscén,
tesoro. È tardi, sono molto stanca. O forse saremo
gli stessi. Un’altra volta come questa, ma non ci ricorderemo
nulla di quello che siamo adesso. E non avremo da passare
assieme che il tempo che già abbiamo avuto, e faremo
gli stessi discorsi rammaricandoci di avere poco tempo,
io ti parlerò per l’ennesima volta di queste cose, e questo
inverno passerà ancora. E qualcuno ti chiamerà un giorno
che sarai lontano. Ti chiamerà per dirti che sono morta.
Ma sarai abbastanza cresciuto per affrontarlo,
quella voce ti dirà che ho deciso di farmi cremare.
Prenderai questa notizia come tutte le cose inaspettate e,
arrivato a casa, ti siederai da qualche parte pensando
a queste parole che ora ti sto dicendo. Ho tanto sonno,
mio tesoro.

Non è qualcosa che abbia un’importanza
secondaria, considerare la torsione
degli astri che comprime la notte
ricordandoci il sottile discrimine
tra l’esistenza e la mancanza, l’ostensione
delle distanze cosmiche tra i radiofari.
Non è qualcosa che abbia un’importanza
secondaria, conoscere il nome delle piante
che mettono un balzo verde tra le discontinuità
del porfido, dell’asfalto. Se ci cerchi
l’osmanto o lo statice troverai la pratolina
e la mammola. Bisogna saper riconoscere
i segni premonitori di un rigido inverno e
tirare avanti, fare come i giardinieri planetari che,
anche se non li hai mai visti, non vengono meno
al loro dovere. Non sono degli spettri
quelli che pettinano l’erba del prato, nel parco pubblico,
quelli che la pareggiano eliminando ogni discontinuità.

*

Oggi me ne sono rimasto ad ascoltare il rumore
del mio respiro e il dolore dei miei occhi.
Il contrappeso della gru era un diadema
incastonato nella fronte del cielo, un vetro
silenzioso e immobile. Mi pareva di leggere,
nella sua presenza, un senso di rimprovero.
Si trovava a una ventina di metri proprio
sopra alla mia testa. Attendeva. Ci siamo fissati
per un bel po’, lui e io. Fino a quando non ho sentito
gravare su di me le cifre, le misure ineluttabili.
Abito una pietra imbalsamata nell’acqua.
Tutto ciò che la circonda àltera, in ogni momento,
le sembianze; si rinnova ma, ai miei occhi, rimane
sempre uguale. Ciò che so di me stesso è poco,
ancora meno io conosco voi. Sto parlando
di un rapporto, il rapporto che unisce il poco
che si assomma e che, allo stesso tempo, se ne va via.
Che, in ogni momento può esserci tolto e non tornare. Continua a leggere