Daniele Piccini, “Terra del desiderio”

picciniDalla Postfazione di Giancarlo Pontiggia

Libro in parte antologico, in parte costituito di poesie nuove (nell’ultima sezione) Terra del desiderio, (Collana di Poesia Contemporanea in formato E-Books, Nomos Edizioni, 2016, euro 3,99)  si pone al crecevia tra il libro di ricapitolazione della propria esperienza – poetica e umana – e l’opera nuova ancora in fieri, ma già impostata nei suoi fondamenti. Non tutti, pochi a dire il vero, potrebbero permettersi un’operazione di tal genere a poco più di quarant’anni, ma Daniele Piccini ha già alle sue spalle cinque raccolte poetiche e un repertorio saggistico di tale ampiezza (edizioni critiche di poeti trecenteschi, interventi militanti sulla letteratura contemporanea, riflessioni teoriche sulla poesia), da poter disegnare un libro in cui tensione esistenziale e complessità del pensiero poetante si saldano senza incertezze.

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Cinquanta foglie. Tanka giapponesi e italiani in dialogo

Tavola di Hirose

Tavola di Satoshi Hirose

Il tanka è una forma lirica giapponese molto antica, addirittura precedente il celebre haiku di tre versi; il suo ruolo-chiave nella storia della poesia nipponica comincia nell’ottavo secolo d.C. (allora si chiamava waka) e si protrae fino ai nostri giorni. La struttura metrica del tanka è di cinque versi privi di rime e così divisi: quinario / settenario / quinario / settenario / settenario. Nel periodo classico della storia giapponese, l’epoca Heian, il tanka era spesso usato come veicolo di messaggi amorosi o di scambi di pensieri tra amici: a un tanka inviato, spesso scritto su un biglietto speciale, appoggiato a un ventaglio o legato a un ramo fiorito, rispondeva un tanka di ritorno.

Ispirandosi a quell’antico cerimoniale Paolo Lagazzi ha scelto venticinque tanka giapponesi recenti e li ha proposti in traduzione italiana, uno per ciascuno, a venticinque poeti italiani invitandoli a rispondere con un loro tanka. A loro volta i tanka italiani sono stati tradotti in giapponese, in modo che tutti i testi possano essere letti sia in Giappone che in Italia. Continua a leggere

Compie quarant’anni “Somiglianze”, di Milo De Angelis

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Milo De Angelis

 

Giovedì 10 novembre 2016, ore 20, Quarant’anni di Somiglianze con Milo De Angelis. Casa della Poesia, Laboratorio Formentini, via Formentini 10, Milano.

La somiglianza

Era
nelle borgate, camminando in fretta
quell’assolutamente
oltre
che dai libri usciva nella storia
radendo le bancarelle, d’estate.
Domanderemo perdono
per avere tentato, nello stadio,
chiedendogli di lanciare un giavellotto
perché ritornasse l’infanzia.
Non si poteva
ma la somiglianza era noi
nell’immagine di un altro, ravvicinato, nel sole
volevamo trattenere il nostro senso
verso lui
in un gesto da rivivere: chi poteva sancire
che tutto fosse al di qua?

Prese la rincorsa, tese il braccio. Continua a leggere

Canto della caducità degli uomini tutti

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di Danilo Mandolini

Ciò che immediatamente sorprende incontrando nella lettura l’ultimo lavoro in versi di Pasquale Di Palmo (Trittico del distacco, prefazione di Giancarlo Pontiggia, postfazione di Maurizio Casagrande, Passigli 2015, € 12,50) è l’assoluta precisione data alla struttura organizzativa dello stesso. Non si tarda infatti a verificare che si è di fronte ad una tripartizione, che diremmo speculare e quindi, in qualche modo, perfetta, in cui la sezione di apertura, Addio a Mirco, consta di nove testi come la sezione di chiusura intitolata I panneggi della pietà, e che la parte centrale dell’opera, Centro Alzheimer, il cuore vero del libro, contiene quindici liriche anticipate e seguite da una poesia (per un totale dunque di due, nell’economia di questa sezione) composta in dialetto veneziano.

Pare altrettanto evidente, poi, addentrandosi in una prima analisi approfondita della silloge, che ad ognuna delle suddette sezioni l’autore attribuisce un registro linguistico ed una tonalità assolutamente coerenti con i vari – si passi l’espressione – soggetti trattati. Continua a leggere

Marco Vitale, “Diversorium”

Vitale4Dalla nota di Giancarlo Pontiggia

Un sentimento di ansiosa precarietà pervade il mondo poetico di Marco Vitale. Oggetti, luoghi, persone sembrano ogni volta sul punto di perdersi, come se la ruggine del tempo potesse intaccarne da un momento all’altro la fragilissima patina. Di ciò che è stato, sopravvivono solo labili indizi – esili giunzioni, fili, lumi, soffi di un tempo remoto – che hanno a volte la consistenza di un sogno, e cui il poeta può opporre solo i fragili, anch’essi, eppure così tenaci, moti del cuore. Ne è spia la sintassi poetica, intessuta di vocativi, inversioni, reduplicazioni intensive, interrogative cariche di pathos («Possibile, nessuno parla, possibile?»), gerundi che sospendono il movimento dei pensieri, quasi a eludere il loro rovinoso volgersi a un esito immancabile, immedicabile. Continua a leggere