Il mare e la scrittura

Giuseppe Conte

Note in margine a Non finirò di scrivere sul mare, Mondadori, Milano, 2019, di Giuseppe Conte)

di Marco Marangoni

Mentre stendo queste note, i giorni sono questi della pandemia 2020. Ci sentiamo improvvisamente più fragili. Ed è presa di coscienza, questa, tragica anche se necessaria, dal momento che ci costringe seriamente a considerare quel fondo senza fondo che è la natura e che come tale avevamo troppo facilmente adombrato o rimosso.

E mentre così una forza imponderabile ci sovviene, quasi tornasse a farsi presente l’antico e lo straniante, sono proprio le parole dei poeti, solitamente neglette, che ci possono offrire un orientamento. Viene però da domandarsi, con Hölderlin, se questo non accada per il fatto che è sempre difronte al pericolo che sopravviene ciò che salva.

Certo è che, in un tale orizzonte di considerazioni, la poesia di Giuseppe Conte si mostra ospitale e necessaria, e tanto più in questo ultimo libro. E converrà leggerlo, data la sua stilistica consistenza, in rapporto al background che lo sostiene. Si dovrà partire almeno da un sentimento abbandonato dell’esserci, che ha nutrito i suoi versi fin dagli inizi; e da lì comprendere quello sbocco a “fonti romantiche e simboliste” (Marco Forti) per cui nel ‘76 Luciano Anceschi ebbe a parlare di “un fluire autre nella riconquista del desiderio”, nonché del “diritto di essere deboli con gioia”. Continua a leggere

Appello al governo per la libertà

Vivian Lamarque

Qualche giorno fa su numerosi quotidiani nazionali e agenzie di stampa ha circolato una notizia che ha fatto tremare le gambe a chi ha superato i settant’anni. La presidente dell’Unione Europea Ursula von der Leyen ha infatti suggerito in un’intervista al quotidiano tedesco Bild alle persone anziane di rimanere in isolamento a causa della pandemia da coronavirus, “fino alla fine dell’anno” per evitare ogni rischio di contagio. Un’affermazione che qualora si trasformasse in misura preventiva e qualora fosse adottata in Italia, potrebbe essere fortemente discriminatoria nei confronti di tanti cittadini che pur avendo superato i 70 anni, godono di ottima salute.

Su questi presupposti è nato l’appello al governo italiano del mondo della cultura over 70 che intende “salvaguardare la propria salute, ma anche la propria dignità e libertà”.

Il manifesto, è sostenuto finora da 126 firme tra le quali quelle di Massimo Cacciari, Carlo Ginzburg, Giorgio Agamben, Eugenio Borgna, Salvatore Natoli, Ginevra Bompiani, Milo De Angelis, Giuseppe Conte, Ludina Barzini, Rosetta Loy, Vivian Lamarque e Donatella Bisutti.  Quest’ultima è la promotrice dell’appello.

MANIFESTO CONTRO LA DISCRIMINAZIONE DEGLI OVER 70

Noi, scrittori, artisti, intellettuali, rappresentanti della cultura e tuttora operanti nel contesto sociale, esprimiamo con forza fin d’ora il nostro dissenso nei confronti dell’eventualità di una disposizione limitativa della libertà personale, che volesse mantenere una fascia di persone ancora attive, in buona salute e in grado di dare ulteriori preziosi apporti alla nostra società, in una segregazione sine die solo in base al dato anagrafico, dell’appartenenza cioè a una fascia di età dai 70 anni in su. Noi affermiamo con forza che questa discriminazione sarebbe incostituzionale, in quanto discriminerebbe una fascia di cittadini di serie B, privati della loro libertà con una imposizione del tutto ingiustificata. Continua a leggere

Giuseppe Conte, “Non finirò di scrivere sul mare”

Giuseppe Conte

IL MARE CHE TI HA SPECCHIATA

Dimmi luna del mattino
luna evanescente, scialba, indefinita

di’, perché è così breve la vita
perché ti assomiglia l’umano destino?

Dimmi luna del mattino
luna che te ne stai per andare

di’ cosa senti a te più vicino,
l’agonia di ogni essere? O il mare?

Il giorno che ti sta per cancellare
o il ricordo del mare che ti ha specchiata

tutta la notte e baciata e cullata,
la fine di tutto o il ricominciare?

CHE È SEMPRE LA MIA META

L’Italia era fatta di luna, stamattina.
Di luna la mia Honda tutta coperta di brina

di luna i rami fioriti che la grandine aveva colpito
di luna i giardini, le chiese, le curve a gomito

le vette delle Alpi, le loro lastre, i loro aghi
la foschia orizzontale sospesa sopra i laghi

di luna le vie deserte della città di Varese
le risaie che riquadrano e specchiano distese

di cielo, di luna le turrite alture del Monferrato
di luna il tunnel nero appena attraversato.

L’Italia è fatta di luna, certe mattine
ed è come la luna muta, amica, quieta.

La percorro in alti viadotti, rasento aspre colline.
E poi rivedo il mare, che è sempre la mia meta. Continua a leggere

Giuseppe Conte, da “Poesie 1983-2015”

AUTUNNO

L’Amante
Devoto deve essere l’amante
all’autunno. Non ai venti
torbidi, che fiaccano e fanno bianchi
di meli e di susini i cieli
né alla bonaccia nuda, distesa,
dalle grandi braccia di quiete.
È devoto all’autunno perché rimane
nei raggi obliqui e lunghi di ottobre
negli orti che si spogliano
lenti tra i muri delle case
in ombra, nell’odore
nuovo di pioggia tra i pini e gli allori
qualcosa della fervida spinta cieca,
qualcosa della placata vampa
ma come assottigliato, come fatto
finalmente nitido, in una stanca
matura ricchezza, acini dorati
dimenticati sulla vite, abbaglianti
soltanto l’attimo che incontrano
il sole.
Da ragazzo, ogni sera, mi strangolava
l’ossessa primavera di carezze
cercate.
Poi, inondante, venne l’estate
con lei. Lei incolpevole, mite e
così tenue, così ardente, come
la corolla purpurea del papavero
di california, come un canneto arso d’agosto.
Ora, da molto, molto non conosco
più quelle due stagioni.
Io sono l’inestinguibile.
In me l’amore è passato
per rapide rovinose e per lente
acque alte: ora va sicuro, veloce
come su una piroga verso isole
di tramonto. Ora è devoto
agli dei, devoto a Zeus
che fu per Leda un fulmine
bianco-piumato, un capo
teso sopra un collo troppo
lungo, insensato in quella
vertigine polverulenta. Devoto
ad Atena, ad Artemide che non
è facile scorgere sulle rive
di un fiume o tra le superstiti
cerve di un bosco, e che nessuno
può possedere. Amore in me
è solenne, spietato come una danza
guerriera, o è appena
futile, delicato,
come geranei in una fioriera.
Io e te non esistiamo: non
chiedermelo: e forse
staremo ancora insieme, correremo
come daini alla fonte
risaliremo il torrente
come trote
sapremo nell’energia che ci muove,
nel respiro delle stelle nuove
la nostra essenza.
Amore è questo
riconoscersi in tutto, nella prima
rosa del mondo, nell’ultimo
ranuncolo, nella bassa marea, nel profondo

oceano.

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A Jean-Charles Vegliante, il Premio letterario internazionale Carlo Betocchi-Città di Firenze

 

Jean-Charles Vegliante

È Jean-Charles Vegliante il vincitore della XVII edizione del “Premio letterario internazionale Carlo Betocchi-Città di Firenze”. Così ha deciso la giuria del Premio, presieduta da Marco Marchi e composta da Sauro Albisani, Anna Dolfi, Antonia Ida Fontana, Francesco Gurrieri, Gloria Manghetti e Maria Carla Papini.

Jean-Charles Vegliante, nato a Roma nel 1947, vive a Parigi ed è un poeta francese alla cui produzione in proprio ha costantemente abbinato nel corso della vita una vasta e qualificatissima opera di traduzione di poeti italiani: da Dante ai poeti del Novecento e contemporanei, passando per Leopardi, Belli, Pascoli, D’Annunzio, Ungaretti, Montale, Betocchi, Sereni, Calogero, Pasolini, Fortini, Raboni, Amelia Rosselli e altri. Oltre che valido traduttore e intraprendente corifeo della letteratura italiana in Francia, Vegliante è autore di notevoli saggi di critica, teoria letteraria e anche, specificatamente, di teoria della traduzione, con testi (tra cui l’ormai classico D’écrire la traduction) sul ritmo, la scrittura bilingue, la forma poetica, i fenomeni della “translatio”, le scritture in versi connesse con l’emigrazione. Si è occupato inoltre di narratori come Morselli, Primo Levi e Camilleri. Continua a leggere