In memoria di te, Paul Celan – Volkstrauertag –

In memoria di te, Paul Celan
a cura di Luigia Sorrentino

Le vittime della Shoah furono circa 6 milioni. Fra esse, dovremmo includere un nome, o un non-nome, se preferite: Paul Celan.

Tutta la sua esistenza, incarnò strenuamente l’immane tragedia dello sterminio che  transfuse in sé  e nella poesia al punto da  annullarsi totalmente come persona. L’epilogo di Celan fu il suicidio.  Con quell’atto finale il poeta testimoniò la sua personale vergogna: l’aver  scritto da esule, (viveva in Francia) nella sua lingua-madre, il tedesco, (la lingua-madre degli aguzzini nazisti.)

La sua vita quotidiana si svolse in francese,  “a fronte” dei propri testi scritti in tedesco. Lo sguardo di Paul Celan non si distolse mai dal “Gegenuber” (qualcosa a fronte), che Celan identificò nella Memoria. 

Epilogo. La traduzione del dolore
di Camilla Miglio

Paul Celan ha tradotto, o meglio traslitterato il proprio nome dal tedesco al rumeno. Da Antschel a Ancel. Lo ha poi ripetuto a testa in giù. Cel-An: può suonare rumeno, francese, comunque straniero a orecchie tedesche. La ripetizione del nome, lo pseudo-nome diventa la sua persona nell’interessante accezione latina ricordata da MarKo Pajevic: da per-sonare, risuonare attraverso. Continua a leggere

Nicole Janigro, ‘Le lingue e i luoghi’

Altre scritture: Nicole Janigro ‘Le lingue e i luoghi’
a cura di Luigia Sorrentino

All’inizio non c’era che una sola lingua. Gli oggetti, le cose, i sentimenti, i colori, i sogni, le lettere, i libri, i giornali, erano quella lingua.
Non avrei mai immaginato che potesse esistere un’altra lingua, che un essere umano potesse pronunciare parole che non sarei riuscita a capire. Perché avrebbe dovuto farlo? Per quale motivo?

Agota Kristof, L’analfabeta

Voi vorreste, signori, che vi mostrassi la mia casa natale? Ma mia madre ha partorito nell’ospedale di Fiume, e questo ospedale è ormai distrutto. Non riuscirete a mettere una lapide sulla mia casa, perché anch’essa è probabilmente distrutta. Oppure dovreste mettere tre, quattro lapidi con il mio nome: in diverse città e in diversi stati, ma anche qui io non potrei aiutarvi, perché non so quale è stata la mia città natale, non mi ricordo più dove ho vissuto durante l’infanzia, so appena in quale lingua ho parlato.
Quel che ricordo sono immagini: la palma che dondola e gli oleandri da qualche parte vicino a un qualche mare, il Danubio che scorre torbido, verde, vicino ai prati, una filastrocca: èn-den-dina, ti-raka, tina…

Danilo Kis, Apatride Continua a leggere

Solstizio d’estate, il rito della luce

La Fondazione Fiumara d’Arte ha scelto il momento fortemente simbolico del solstizio d’estate per organizzare il “Rito della luce”, nel momento in cui il sole allo zenit sarà al culmine della sua inesauribile energia.

Da oggi a martedì, nei giorni delle porte solstiziali, i più lunghi dell’anno, è possibile, dal mattino al tramonto, sull’altura di Motta d’Affermo, entrare all’interno della Piramide – 38esimo Parallelo, l’opera imponente di Mauro Staccioli alta 30 metri, la cui costruzione è durata 2 anni e mezzo, che sintetizza la coesistenza degli opposti.
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Anteprima-video, Derek Walcott legge “Moon-Child”

La sala Aurelia dell’Accademia Americana a Villa Aurelia a Roma lunedi 4 aprile alle 21,00  si trasformerà in uno spazio teatrale per vivere l’atmosfera di canti e musiche caraibiche, con il Premio Nobel Derek Walcott e un cast di attori tra i quali Wendell Manwarren, Giovanna Bozzolo e Dean Atta che leggeranno in anteprima mondiale dalla nuova opera Moon-Child di Derek Walcott, ancora inedita in Italia (con un concerto di Ti Jean).
Derek Walcott – Premio Nobel nel 1992 – è nato a Santa Lucia un’isola dei caraibi, ed è vissuto lì per gran parte della sua vita, viaggiando spesso e insegnando all’estero, anche negli Stati Uniti (dove ha insegnato nell’Università di Boston fino al 2007). Oltre ad essere l’autore di sedici libri di poesie, Walcott è anche un regista teatrale e un commediografo e ha fondato il Trinidad Theater Workshop nel 1959, e il Boston Playwright’s Theater nel 1981.
Ha scritto molte opere teatrali e i testi per il musical di Paul Simon, The Cape Man

Luigia Sorrentino ha realizzato un’intervista con Derek Walcott (di cui vi diamo qui una brevissima anticipazione) in occasione delle due serate romane per ricordare l’opera di poeta e prosatore di Iosif Brodskij (del 17-18 marzo scorsi alla  John Cabot University e a Villa Aurelia, sede dell’Accademia Americana a Roma) . 

Derek Walcott, il più grande poeta delle Indie Occidentali, esprime nelle sue opere il conflitto tra l’eredità della cultutra europea e quella delle sue origini, Santa Lucia e i Caraibi.
Walcott ci ha anche parlato della sua attività di pittore e di illustratore, specificando però che le due attività sono da lui tenute ben distinte l’una dall’altra.

http://www.rainews24.rai.it/ran24/clips/2011/03/walcott_31032011.flv

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Valentino Zeichen, “Poesie giovanili” 1958-1967

DIARIO FAMILIARE
di Valentino Zeichen

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, sono stato parcheggiato a Kantride (Fiume), in una colonia marina che protraeva la chiusura oltre l’estate, per albergare orfani autunnali. Mia madre era tisica, ormai all’ultimo stadio, e così l’avevano ricoverata in un sanatorio vicino a Laurana, sulla costa. Dopo mesi di sparizione senza che avessi sue notizie, mi avevano confidato la verità. Una vigilatrice mi aveva preavvisato: mia madre sarebbe venuta a trovarmi, compatibilmente con le sue condizioni di salute. L’incertezza sulla data angosciava le mie aspettative giornaliere. L’edificio della colonia doveva risalire agli anni Trenta; ricordo una costruzione a due piani con tanti oblò; un lungo porticato di colonne cilindriche, e la facciata esposta a ponente, verso il mare. Dopo giorni pieni di aspettative e vuoti di notizie, le mie cieche congetture sul futuro, svanirono.
Per qualche motivo che mi sfuggiva, la visita tanto attesa, era stata anticipata, quasi affrettata per l’indomani, domenica. L’orario previsto per i visitatori era dalle due del pomeriggio alle cinque. Era da cinque mesi che cercavo di rivederla. Il mare antistante pareva gonfio d’ira come un’idra; le onde avanzavano ingigantite dalla bora, mi avrebbero travolto, e sarei annegato prima di rivedere mia madre? Era un mare dalle tinte livide, infuriato, inadatto per una cartolina illustrata del Quarnaro, anche se era solo Carnarius: divoratore di carne.
Mi trovavo a un lato del porticato, distante da altri visitatori, sorvegliato da una vigilatrice che doveva consegnarmi a mia madre. Quando mi intravide da lontano, accelerò il passo; mi sorrise appena scoprendo i suoi magnifici denti. La guardavo; volevo muovermi, ma ero come paralizzato da un’ignota paura. La lunga separazione da lei mi aveva disaffezionato dalla consuetudine di correrle incontro e saltarle al collo. Era rimasta alta e slanciata come la ricordavo. Venne verso di me e mi accolse tra le sue braccia, al rallentatore, come se avesse esaurito le sue forze, alquanto a disagio, dovuto alla mia rigidità. Mentre mordicchiavo un dolcetto, lei parlava con la mia guardiana, informandosi dello stato della mia salute; ero stato a lungo malato e non ho mai saputo il genere di malattia.
Per tutta la durata della visita ci dicemmo poco o niente: solo consueti diversivi: “Guarda, c’è una nave al largo”. Mi sentivo assalito da cupi presentimenti, e tra questi quello più ovvio che mi suggeriva il suo pallore cadaverico; in me moriva la speranza di rivederla. Fra noi altalenava uno struggente disagio; ogni nuova parola pronunciata poteva essere l’inizio di una nuova frase che precedeva il commiato. Alternavo lo sguardo tra il viso di mia madre e le ombre sghembe del colonnato, che si allungavano e impallidivano fino alla sparizione del sole. Indisponente, oppresso da tanti presagi, non facevo che informarmi su quanto tempo mancava ancora alla fine della visita, come se volessi troncarla e mandare via mia madre prima del sibilo della sirena che poneva termine alla visita. Sullo sfondo sbiadiva un raggelante rosseggiante, adombrato dagli altri pini marittimi. Le cose intorno si decoloravano perdendo luminosità. Continua a leggere