Conversazione con Maurizio Cucchi

cucchiA cura di
Luigia Sorrentino
Roma, 28 novembre 2016

Il penitente di Pryp’jat (2015) è la prosa poetica dell’ultima sezione dell’Oscar Mondadori di Maurizio Cucchi intitolata Antiche, rare, inedite. Il volume, pubblicato nel 2016, raccoglie, in una nuova edizione accresciuta e aggiornata, le poesie dal 1963 al 2015. Più di cinquant’anni di poesia si chiudono con un testo a metà fra prosa e poesia, un componimento che però s’inserisce a pieno titolo nell’Opera in Versi di Maurizio Cucchi.
Continua a leggere

Antonio Riccardi, “Il profitto domestico”

il-profitto-domesticoNota di Alberto Casadei

«Chiamo queste vite in una storia» dice Antonio Riccardi sulla soglia del Profitto domestico, e le sezioni della raccolta, le sottosezioni, le poesie – come le stanze, gli anditi, le scale dell’antico podere di Cattabiano, proprietà dei Riccardi da più di cinquecento anni – portano nel segreto di una famiglia, evocato per schegge, frammenti, attraverso le vicende dei suoi componenti, remoti e vicini, che della rappresentazione di quel segreto sono insieme attori e personaggi.

Poema familiare che, nel suo dare struttura narrativa a universali tragici quali l’amore, il possesso, la morte – individuati da serie foniche e dunque simboliche come soldi-colpa, casa-corpo, cose-ricordi, rovine-reliquie –, rappresenta un unicum nella poesia e nella lingua italiana del secondo Novecento, Il profitto domestico condivide con la tragedia classica anche l’assolutezza geografica, confermata più che tradita dagli excursus immaginifici nell’Antartide di fine Ottocento e nell’Africa esplorata da Bottego: centro generativo del poema è infatti il podere avito, la foresta che lo circonda, i ruderi che punteggiano i colli, le valli, le rive dei fiumi dove la materia organica si decompone, mischiandosi all’inorganico dei rifiuti industriali, al metallo ormai rugginoso che infetta le ferite della Prima guerra mondiale: ogni materia, anche morendo, anche disfacendosi, vive. Continua a leggere

Roberto Alperoli: “La poesia purifica la lingua, la salva”

roberto

Roberto Alperoli

INTERVISTA di Guido Monti

Incontro Roberto Alperoli ideatore e direttore artistico di Poesia Festival Terre dei Castelli, uno degli eventi più riusciti per qualità e progettualità culturale che si tiene da dodici anni nel territorio emiliano. Ci sediamo in una trattoria di Modena molto nota vicino al teatro Storchi. La canicola del sole settembrino ci riporta in pieno agosto. I suoi occhi in attesa di domande, hanno quella vividezza e curiosità propria di quei bimbi al culmine della fanciullezza. Roberto nel tuo libro,“Il cielo di oggi”, di qualche hanno fa, in una poesia molto toccante dal titolo “La madre”, dici : “E’ tanto tempo/che non mi manchi più,/che non mi chiami; /eppure sei stata tu // la mano del mio principio, l’assunto abbagliante/del mio dolore; //…”. Ecco allora potrei girarti questa poesia in forma di domanda.

Come è maturata in te la decisione di creare questo festival nel 2005 assieme ai compagni del primo momento Alberto Bertoni e Paola Nava? Forse appunto perché la poesia la sentivi come mano del tuo principio e volevi però anche tenacemente mostrarla ad una comunità più ampia? Avevi intuito che questo territorio potesse avere in sé quel terreno di coltura per la crescita della pianta poetica?

Ho un lungo rapporto con la poesia, che fa parte della mia vita da sempre, direi. La leggo, la scrivo, la seguo nella sua dimensione pubblica. Il suo valore, la sua importanza – anche terapeutica – la sperimento (l’ho sperimentata) su di me, sulle persone che conosco. Anche sul valore pubblico, civile, etico della poesia rifletto da tempo. Soprattutto oggi che la lingua è stata colpita al cuore, che il linguaggio è un lungo, ininterrotto boato di frasi fatte, inerti, di parole caricaturali, senz’anima. La nostra è un’epoca di monotonia espressiva, spettacolare e rumorosa. La lingua è gridata nelle trasmissioni televisive, mortificata dalla pochezza della politica, massificata e banalizzata dal web, orfana dei comportamenti e dei modelli che, un tempo, ne sapevano custodire la vocazione civile. Il linguaggio della politica, poi, ne ha enfatizzato l’impotenza. Il dolore della lingua è proprio la sua inespressività. E nel frastuono e nell’impoverimento delle parole siamo tutti più poveri. Ecco, salvare la lingua, il bene pubblico della lingua, significa allora salvare noi stessi, le nostre emozioni e i nostri pensieri, che solo il linguaggio rende comprensibili e comunicabili. Ed è qui il valore della poesia, che si oppone a questo collasso perché è un ingrediente attivo del linguaggio, uno spazio per la propria identità. Purifica la lingua, rimette al mondo l’innocenza delle parole. Si oppone alla miseria individuale e alla miseria pubblica. Continua a leggere

Jean-Charles Vegliante, “Pensiero del niente”

jean_charles_vegliante

Dalla Prefazione di Maurizio Cucchi

Nel 2004 Giovanni Raboni traduceva per Einaudi un primo libro importante di Jean-Charles Vegliante “Nel lutto della luce” e definiva l’autore “un poeta che viene da una grande tradizione come quella francese, ma anche, contemporaneamente, da una Continua a leggere