Andrea Gibellini

Andrea Gibellini

Planetario

L’arte bizantina era tutto.
I mosaici sono ricamati

come fili nostalgici di un cielo
turchese. In una notte d’inverno

osservando il cielo blu cobalto
quasi nero con dentro ogni

colore ti senti d’essere sospinto
dentro un planetario

dove puoi disegnare
l’oracolo delle stelle. I mosaici

come eterni nel crepuscolo
del riposo eterno di Galla Placidia

e le stelle minute dove mai
rimanemmo delusi

sono un firmamento dagli occhi chiusi.

Come dipingere il blu,
la cornice delle stelle

trasformare tutto in un idillio
senza tempo?

I cervi si abbeverano
ad una sorgente

sconosciuta. L’erba
è destinata. Il vento

copre la situazione presente.
Nessuno va e viene.

Il luogo è deserto,
dentro non c’è tempo

che possa intervenire
nell’ansia delle stelle.

«Nel ritrovare la luce,
il colore dei mosaici». Continua a leggere

Marianne Moore, “Che cosa sono gli anni” e “La Poesia”

Marianne Moore

Che cosa sono gli anni

Che cos’è la nostra innocenza,
che cosa la nostra colpa? Tutti
sono nudi, nessuno è salvo. E donde
viene il coraggio: la domanda senza risposta,
l’intrepido dubbio, –
che chiama senza voce, ascolta senza udire –
che nell’avversità, perfino nella morte,
ad altri dà coraggio
e nella sua sconfitta sprona

l’anima a farsi forte? Vede
profondo ed è contento chi
accede alla mortalità
e nella sua prigionia ti leva
sopra se stesso, come
fa il mare dentro una voragine,
che combatte per essere libero
e benché respinto
trova nella sua resa
la sua sopravvivenza.

Così colui che sente fortemente
si comporta. L’uccello stesso,
che è cresciuto cantando, tempra
la sua forma e la innalza. È prigioniero,
ma il suo cantare vigoroso dice:
misera cosa è la soddisfazione,
e come pura e nobile è la gioia.
Questo è mortalità,
questo è eternità.

da Le poesie, a cura di Lina Angioletti e Gilberto Forti, Adelphi, 1991 Continua a leggere

Al Madre una conversazione itinerante con Mario Martone

MARIO MARTONE AL MUSEO MADRE

Dal 6 all’8 ottobre visite guidate e una conversazione itinerante con Martone 

Domenica alle ore 17.00 1977 2018. Mario Martone Museo Madre Curator’s Tour. Un appuntamento con il curatore della mostra Gianluca Riccio, che introdurrà il pubblico al progetto e all’opera centrale del percorso espositivo, il film – flusso di circa 9 ore realizzato dal regista basandosi sullo studio dei materiali conservati nell’Archivio Mario Martone, prodotto dalla Fondazione Donnaregina per le arti contemporaneee realizzato con la produzione esecutiva di PAV e con il supporto della Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival.

Visita gratuita; prenotazione obbligatoria.

Lunedì 8 ottobre, alle ore 15.30Walkabout con Mario Martone, condotto da Carlo Infante di Urban Experience: una conversazione itinerante strutturata come trasmissione radiofonica, in cui il regista si racconterà e interagirà con i partecipanti attraverso delle radio – cuffie che verranno loro distribuite. Un’esplorazione partecipata per condividere le suggestioni sia della mostra sia della città con una guida d’eccezione, partendo dal Madre per arrivare al Nest, Napoli Est Teatro (San Giovanni a Teduccio), per seguire le prove di Tango Glaciale Reloaded, che tornerà in scena il 9 e il 10 ottobre con un riallestimento a cura di Raffaele di Florio e Anna Redi. Connettendo la mostra allo spettacolo sarà sviluppato un ideale percorso in cui la carriera di Martone verrà esplorata a partire dai suoi primi lavori e dal legame con l’arte contemporanea, con uno sguardo al futuro attraverso Tango Glaciale ReloadedCapri-Revolution, il suo ultimo film, in concorso alla 75 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, di cui la prima immagine è stata esposta in anteprima proprio al Madre.

Il walkabout di Urban Experience è un format che sollecita il dialogo sincopato con i partecipanti, fornendo suggestioni psicogeografiche e narrazioni originali che arricchiscono l’esperienza della visita museale e urbana.
Visita gratuita (escluso il biglietto per il trasporto in metropolitana); prenotazione obbligatoria.

di Gianluca Riccio

Nel corso del tempo, il percorso di Mario Martone (Napoli, 1959) – articolato tra performance, teatro, cinema, opera lirica, creazione di gruppi e spazi teatrali – è andato formandosi come un arcipelago in cui opere distanti nel tempo, nello spazio e nella forma si trovano a dialogare tra di loro.

La prima performance del gruppo Falso Movimento, fondato da Martone a Napoli nel 1979, si svolgeva nella galleria napoletana di Lucio Amelio. Il film che Martone sta ultimando, e che sarà presentato nell’autunno del 2018, avrà lo stesso titolo di un’opera (Capri-Batterie, una lampadina gialla che idealmente prende energia da un limone), che l’artista tedesco Joseph Beuys realizza con Amelio nel 1985, scenario evocato all’ingresso della mostra con l’immagine di un bosco tratta da una sequenza del film (fotografia di Mario Spada) e alcuni materiali di scena.
Non è un caso quindi che sia il Madre a presentare la prima mostra retrospettiva dedicata a Mario Martone.

Accogliendo la tensione Fluxus che anima la sua ricerca, la mostra è presentata sotto forma di un film-flusso, basato sullo studio dei materiali conservati nell’Archivio Mario Martone e realizzato con la produzione esecutiva di PAV, Roma, e con il supporto di Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia.

Attraverso il montaggio di documenti e filmati inediti, immagini di repertorio, brani di film e riprese di spettacoli teatrali che ne documentano la poliforme attività creativa in un arco storico di quarant’anni, l’esperienza artistica di Martone viene presentata secondo un ordine non cronologico ma evocativo, in cui tutti i segni che raccontano la storia del regista convivono in un rapporto orizzontale di per sé contemporaneo. Proiettato simultaneamente su quattro schermi nella Sala Re_PUBBLICA MADRE, il film-flusso rielabora musealmente la messa in scena di uno spettacolo teatrale di Martone del 1986, Ritorno ad Alphaville, ispirato all’omonimo film di Jean-Luc Godard, e di cui è riproposto l’andamento circolare e la visione simultanea da parte del pubblico. Continua a leggere

Joyce Mansour, “I nostri passi ci precedono ci seguono”

Joyce Mansour (Collezione privata)

di Giovanni Ibello

La poesia di Joyce Mansour giunge disarmata in tutta la sua irredenta potenza metafisica. Il dettato dell’autrice si articola in un groviglio di visioni surreali. In particolare, parliamo di un itinerario di lacerazioni erotiche, uno spietato luogo del grido (Casa vuota nera spettrale / I nostri passi ci precedono ci seguono). Non esistono messe di quiete. La leggo e mi sussurra qualcosa, come in una vecchia poesia di Charles Simic. Sembra dire: “Parlo d’amore, ma non so cosa amo. So cosa feconda il mio verso: fare del corpo la misura del tremendo“. Una morsa, quella di Eros e Thanatos, destinata a riverberarsi per tutta l’opera dell’autrice. Un trait d’union che non sarà mai abbandonato (il corpo perde le sue forze /desiderando di vedersi morto già muore). Il motivo è presto detto: in questo succedersi di immagini deliranti, si registra un percorso di sperimentazione corporea che non può essere taciuto, ma che anzi viene pericolosamente offerto al lettore. Riporta inevitabilmente alla “Scuola della carne” di Yukio Mishima e più in generale, a quell’idea che per scrivere davvero una poesia è necessario rischiare tutto, anche la vita se necessario. Bisogna dunque mettersi in gioco, ma farlo veramente, fare “all in” col proprio corpo: offrirlo sull’altare della parola (mescolo il fiato al sangue del gufo / il mio cuore corre crescendo / con i folli), non recedere di fronte all’azzardo, a quella sottile demarcazione tra una buona scrittura e un verso “irripetibile”. La poesia appartiene a chi non conosce viltà (Ho aperto la sua bocca senza labbra/ Per muovere una lingua atrofizzata / Ha nascosto il suo sesso profumato / Con una mano blu di morte e vergogna). Continua a leggere

Antonio Nazzaro, “Amore migrante e l’ultima sigaretta”

Antonio Nazzaro / Credits Ph. Agnes Weber

 

 

di Michelle Rincón

Anche se la scrittura è breve, la poesia di Antonio Nazzaro racconta sempre qualcosa oltre le parole; in ognuno dei suoi versi ci troviamo con una piaga aperta, dove l’atto d’amare, emigrare e accendere l’ultima sigaretta è l’insistenza che punge il corpo, lo graffia, lo stringe e obbliga a guardare verso quell’innocenza che insistiamo nell’abbandonare.

Ecco, nel suo florilegio possiamo conservare come fosse una valigia di appena ventitré chilogrammi tutti i cammini dove non andremo mai, perché Antonio è già tornato da lì con parole che chiariscono e accendono le ombre di molte terre per contemplare la vita che, anche se ha un sorriso ingiallito, ci porta le impressioni di bellezza incontrata sotto il ciabattare di una madre o sotto le ruote di una sedia di chi non parlerà né seguirà la linee di un volto; perché sia quale sia il camino che il poeta ha preso per arrivare qui o quante sigarette abbia spento nel posacenere tazza, quello che prevale è la capacità di disegnare con le sue dita, parole dove La bellezza si può solo toccare.

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Aunque la escritura sea breve, la poesía de Antonio Nazzaro siempre cuenta algo más allá de las palabras; en cada uno de sus versos nos encontramos con una llaga abierta donde el acto de amar, emigrar y prender un cigarro es la insistencia que punza al cuerpo, lo rasga, lo aprieta y obliga a mirar hacia aquella inocencia que insistimos en dejar atrás.

He aquí que en su poemario podemos guardar como si fuera una maleta de apenas veintitrés kilogramos todos los caminos a los que nunca iremos, porque Antonio ya volvió de allí con palabras que esclarecen y encienden las sombras de muchas tierras para contemplar una vida que aunque teniendo una sonrisa amarilla nos lleva a impresiones de belleza encontradas bajo el chancletear de una madre o bajo las ruedas de una silla de quien no hablará ni seguirá las líneas de un rostro; porque sea cuál sea el camino que el poeta tomó para llegar acá o cuántos cigarrillos apagó en un cenicero taza, lo que prevalece es la capacidad de que antes de encender el próximo dibuje con sus dedos palabras donde La belleza se puede sólo tocar.

 

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