Bellintani, il poeta che scelse di rimanere nell’ombra

Umberto Bellintani nel 1940

Per un bambino che non conosce più i passeri

Urlavan lungi dei cani (o eran gufi?).
Urlavan lungi dei cani e c’eran gufi;
e come assassini i morti si muovevano
rasenti i muri del cimitero
quando il ragazzino si trovò
solo solo nella notte.

E allora egli aveva un urlo strozzato nella gola,
ché un fruscio d’erbe lo soffocava come un serpente
e la luna veramente era cupa tra le fronde degli alberi.
Come assassini i morti si muovevano
rasenti i muri e i fianchi degli argini,

e fu allora che il bambino perse l’uso della parola,
e perse la vista comune delle viole e dei giocattoli
e il senso naturale delle cose.

Così ora tentenna il capo e nei suoi occhi è una nuvola,
ma pare un angelo divino contemplante
profonde luci assorte in se stesso.

Povera madre che lo sorvegli lungo i sentieri del tuo orto
e ora lacrimi al suo riso ebete sugli asparagi,
io non so dirti s’è sfortuna a lui toccata
o s’è migliore la sua sorte, più benigna
che al fanciullo intento a suddividere
in bianchi e neri i dadi del suo gioco. Continua a leggere

L’inflessibilità della lingua

Marianne Moore

MARIANNE MOORE, GLI ACULEI DELLA POESIA

 

Commento di Bianca Sorrentino

 

Visionaria e affilata, audace nella difesa strenua del metafisico, Marianne Moore dà voce all’esperienza universale ammantandola di mondi altri. Imperdonabile per la sua tensione verso la perfezione, la sua poesia è “meticolosa, speciosa, inflessibile”, nelle parole di Cristina Campo: nei bestiari che con accuratezza e fantasia allestisce, la scrittrice americana accorda un dialogo tra visibile e invisibile, senza mai cedere al ricatto della facilità. Fiero e inaccessibile, il suo “cantare vigoroso” si guadagna tra le miserie dei mortali uno spazio nobile di eternità.

 

POSSO, POTREI, DEVO

Se mi direte perché la palude
appare insuperabile,
allora vi dirò perché io credo
di poterla passare se ci provo.

 

I MAY, I MIGHT, I MUST

If you will tell me why the fen
appears impassable, I then
will tell you why I think that I
can get across it if I try. Continua a leggere

Marina Cvetaeva, “Sette Poemi” nella traduzione di Paola Ferretti

Marina Cvetaeva

LA LINGUA FEBBRILE DI MARINA CVETAEVA

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

I Sette Poemi scritti da Marina Cvetaeva fra il 1924 e il 1926 tentano di tracciare una Storia, quella di Marina, durante la prima fase dell’emigrazione. I poemi scelti, Sette su Ventuno, disegnano il mondo interiore della poetessa con una lingua febbrile, eretta, tramata da premonizioni.

OGNI PAROLA DETTA COME SE FOSSE L’ULTIMA 

Marina Cvetaeva ha descritto la poesia lirica come una linea tratteggiata, fatta di lacune bianche che mozzano il fiato, in cui manca l’aria e si mima la morte. 

Ecco che qui, l’inconfondibile voce di Marina si espande nella linea tratteggiata che va  nella direzione dell’assoluto, un assoluto costretto, fra estasi e indignazione, come respiro sincopato “coacervo di ferite“.

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Fabio Pusterla, lo sguardo del bambino

Fabio Pusterla

da PIETRA SANGUE (Marcos y Marcos, 1999)

A Nina che ha paura

Gli scricchiolii notturni e quel silenzio
irreale: foglie, voci lontane, uno sciacquío
forse di grossi pesci nel lago. Anche la luna
che passa ha la sua voce
lunare, di capra gialla. Ed è il tuo turno,
stavolta, di vegliare
su me, sul mio respiro
che ogni poco svanisce nel buio.
Ma non pensarci, se puoi,
non preoccupartene;
so troppo bene cos’è svegliarsi di notte,
tendere invano l’orecchio, maledire
il nulla che ti attornia,
un muro inerte. Continua a leggere

Addio a Alberto Toni

addio a Alberto Toni

Alberto Toni / Credits photo Dino Ignani

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

 

Si è spento a Roma dopo una breve malattia, il poeta e amico, Alberto Toni.

Domenica scorsa alle 14.58 sul suo profilo facebook era comparsa questa scritta: “Cari amici, credo che dovrò per un po’ sospendere i miei impegni letterari. Mi trovo infatti, per un problema serio, ricoverato al Policlinico Umberto I. In attesa di tempi migliori un saluto caro a tutti, scusate se non potrò rispondervi.”

C’eravamo visti e salutati con un bacio, l’ultima volta a Roma, il primo marzo, alla Casa delle Letterature, in occasione della presentazione del libro di Maurizio Cucchi, “Sindrome del distacco e tregua” (Mondadori, 2019). In quella occasione Alberto mi aveva portato il suo ultimo libro di poesie “Non c’è corpo perfetto” (Algra Editore, dicembre 2018). Avevo letto il libro tutto d’un fiato colpita dal cambio di registro della sua poetica, millimetricamente scandita da una pronuncia aspra, ampia, transitoria. Ero entrata nei frammenti di un corpo poetico senza più alcuna protezione.

da Non c’è corpo perfetto
di Alberto Toni

[…]

Una furia,
la fretta di andar via,
casa mia, casa mia,
mettere radici,
cercare le radici, la carta mancante, la calligrafia dello stupore
e la vaghezza, il respiro fino all’ultimo, la pietà è discesa,
non rendo, non colgo, soltanto mi approssimo per tentativi.

Ora il nostro compito è ricordare Alberto Toni, rileggendo la sua poesia con umanissima pietas. E pensare che lui ci parlava di “corpi da proteggere”, quelli che Alberto vedeva alla stazione, “denti su denti/crani su crani”. Continua a leggere