Una poesia di Francesca Matteoni

E’ tutta qui l’infanzia, campo chiuso
negli incubi si riempie di alberi
invalicabili. Qualcuno muore.

Ogni foglia è una cartina tornasole
spalanca le mie cose all’erosione.

Crescete, non più semplici animali
non più nel tutto immersi e separati
come chi dorme perfetto, al sicuro
ruba all’altro la lingua mentre sogna.

La lingua che vi chiama ora è la vostra
mostre le genti magiche, le spezza.
Eppure dentro il mondo, era il mio mondo.

Allora lo vedevo come un prato
in parallelo al cielo interminato.

 

Da: Ciò che il mondo separa, Francesca Matteoni,  Collana Le Ali a cura di Fabio Pusterla, Marcos Y Marcos, 2021

 

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Giuseppe Conte, “L’erica”

Giuseppe Conte, credits ph. Dino Ignani

I

Amo l’erica. Quando arriva l’autunno
ne poso un arbusto sul mio tavolo
in mezzo a libri, plichi, statuette, foto.
Sta lì, come se dovesse riempire un vuoto
che non c’è. Con le sue foglie aghiformi
con i suoi fiori non più grandi di pupille
colore del vento e del vino
mi parla di chissà quali brughiere
mi porta lo spirito dell’autunno vicino.
Poi dice che ineluttabile è il declino
e ascolta tutte le notti le mie preghiere.

II

Amo l’erica come amo il vento
come amo le poesie di Apollinaire.
Ricorda: non siamo sulla terra per
restarci, ma dove andremo lo sanno
loro, l’erica, l’autunno.

III

L’erica convive bene con le tempeste,
il vento lascia dentro di lei il suo soffio
le nuvole i loro vaganti riflessi
il sole le sue ultime, brevi feste.

E’ bella come lo è una capigliatura
di donna dopo un orgasmo burrascoso,
e come una donna in lacrime o nel sonno
è ispida, tenera, pura.

da: L’erica, Giuseppe Conte, 12 poesie, Fallone Editore, 2020 Continua a leggere

Francesca Mazzotta, “Gli eroi sono partiti”

Francesca Mazzotta

CONGEDO

Come il corpo di Ettore tra i cani
solenne compirai l’ultimo giro

sarà il congedo delle mura
gli occhi tuoi gelidi innalzati a stento
si arpioneranno a un tetto, un filo d’erba
a fronde inesistenti di castagni
a un ragno avviluppato alla sua bava
al regno vasto che ti circondava

e farà notte presto, notte fonda
feroce notte, notte invoracita
confonderà la nostra e l’altrui vita

***

DESERTO

Di pietra cresce sulla scorza
umida d’agrume questa
metamorfosi violenta

il silenzio genera la sete
sotto il sole confondo Icaro e Dedalo
mentre tu collezioni extraterrestri
bevo dai golfi del mio mappamondo

eppure prima, prima del deserto
ci incantava una mimosa rovente
la sicurezza di un fondale
sotto il cemento del cortile.

***

NOSTALGHIA

Ho dormito per epoche nel ghiaccio
dentro cieli di vetro, cordigliere
rigate d’azzurro, sul filo rosso
che pondera il torace degli oceani,
tra le vertebre di regioni pallide

mi sveglio dentro il palmo di una mano
scavata con l’aratro dei miei anni
premuto forte sulla superficie
premuto forte
e cado rovesciata da quel polso
rinasco nell’agone dove insegnano
si debba rimanere ci si debba
cibare
di carne e canto ossigeno e cemento

ma ho nostalgia delle regioni pallide
di quei silenzi senzanome aperti
sui cieli vitrei il dorso degli oceani
gli orsi polari gli stormi dei pesci.

Da: Gli eroi sono partiti, Passigli, 2021

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Dante, la letteratura e i poeti

Gandolfo Cascio, Credits photo Dino Ignani

Gandolfo Cascio, Dolci detti. Dante, la letteratura e i poeti, Marsilio 2021.

QUARTA DI COPERTINA

In diversi passi della Commedia Dante riflette su ciò che la letteratura è o compie. Così, di volta in volta, può consolare oppure servire da guida, diviene patria o appare come una seducente metamorfosi; mentre in alcune Rime la poesia si fa addirittura arma finissima per guerreggiare con gli amici più cari. C’è poi il rapporto particolare, e sovente determinante, che alcuni scrittori hanno avuto con la sua opera, e tale fenomeno senz’altro costituisce uno dei capitoli più interessanti della ricezione dantesca. I saggi qui raccolti affrontano dunque, con esemplare coerenza di metodo e limpidezza di stile, la relazione tra il poeta medievale e la scrittura, e provano, attraverso una lettura ravvicinata dei testi, a interpretare queste miracolose conversazioni. 

Gandolfo Cascio insegna Letteratura italiana e Traduzione all’Università di Utrecht, dove inoltre conduce il progetto di ricerca Observatory on Dante Studies. Tra i suoi libri segnaliamo Michelangelo in Parnaso. La ricezione delle «Rime» tra gli scrittori (Marsilio 2019, in traduzione in inglese), Le ore del meriggio. Saggi critici (Il Convivio 2020, Premio Giuseppe Antonio Borgese).

 

INTRODUZIONE

 

E io a lui: “Li dolci detti vostri,
che, quanto durerà l’uso moderno,
faranno cari ancora i loro incostri”.

Purg. XXVI 112-114.

 

TESORI, GIARDINI E SONETTI

È inutile chiedersi perché i poeti scrivano le loro fantasticherie. La primizia fu la collera d’un ragazzo, e da lì, di volta in volta, si può provare a indicare dei moventi o intenti che, d’altronde, per ognuno sono diversi; per non dire poi del fatto che, col tempo, possono anche mutare. Da tremila anni si dettano versi per la scienza delle cose, perché in adorazione della grammatica, per compiacere una distante chimera, sospendere le rimerie che inquietano giorno e notte il cervello, per dono a chi è degno di lode, come lamento luttuoso, a favore dell’aereo capriccio, per stregare, stupire o – come capita all’evangelista analfabeta, mite al comando del pulito ditino dell’angiolo – per obbedienza[1].

Ogni caso, allora, andrebbe interpretato con buon senso[2], studiato con gli strumenti più opportuni ed economici a disposizione, e mettendo da parte pregiudizi e superstizioni. Su tale premessa, in questo libro tento di ordinare alcune considerazioni di Dante sulla letteratura, per schiarire certi elementi della sua poetica; e rammento anche delle vicende, immediate o parte della sua afterlife, di chi, pure scrittore, gli si è accostato: i cari Forese, Cino e Da Maiano; Baretti, furente più che mai, che agguanta quel libro santo come un fioretto per schermare l’onore della lingua; Borgese e Mandelštam che invece l’alzano come uno scudo per parare i calci e la mostruosità del secolo; e c’è chi ha preso l’uomo e l’ha posto sulla scena come un amabile ma indolente pupo.

L’esperienza dantesca resta senz’altro la più potente e venerabile che conosciamo, ma non si presenta come una lezione definitiva, anzi, in alcuni punti è perfino discorde. Si rammenti, per esempio, come maturò il suo convincimento dell’amore, tanto da portarlo a rompere con Cavalcanti; o anche lo scambio di rime con altri amici, che a volte sono degli spassosi botta e risposta, talmente distanti dall’immagine solenne e cupa vulgata da diffidarne, o approvati come il benefico ginnasio per l’impresa più ardita e mirabile, quando, al contrario, andrebbero elevati proprio perché impulsivi, insolenti e smodati, cioè giovani. Continua a leggere

Fabrizio Bajec, “Sogni e risvegli”

Fabrizio Bajec

NOTA DI LUIGIA SORRENTINO

Vi proponiamo da Sogni e risvegli, di Fabrizio Bajec (Amos Edizioni, 2021) il Poema della fame, quinta sezione del libro. Le poesie sono nate dalla rivolta dei gilet gialli in Francia. E’ l’unico a essere stato scritto in italiano. Le poesie delle altre sezioni sono testi composti in francese e tradotti dall’autore. L’azione-poesia di Bajec si configura in questo lavoro “come in un viaggio di andata e ritorno dall’abisso-corpo all’intelletto più luminoso.” Raccolta meno impegnata della precedente, La collaborazione, ma non meno impegnativa nella lettura. Fabrizio Bajec sta lavorando in prosa e in versi sulle lotte sociali in Francia di questi ultimi anni.

«(…) Se si toglie a un essere umano il potere
di agire e, ancor più, quello di creare,
cosa gli rimane oltre alla contemplazione?»
Aristotele

 

POEMA DELLA FAME

I.

solerti restarono in piedi
nella loro miseria belavano
contro la nebbia avvelenata
che il governo faceva piovere
sulle teste calde e canute
dei suoi sudditi ora insorti
dalle campagne e periferie
lungo le autostrade e rotatorie
riuniti intorno a un fuoco la notte
e il giorno sotto la neve
raccolti dentro una baracca
le capanne del loro Natale
ma che le ruspe dei gendarmi
spazzano insieme ai lunghi sforzi
poi tornano i recalcitranti
riedificano sempre una base
per quanto precaria e aperta
mai resistente a sufficienza
per traversare il gelido inverno
e accogliere nuovi affamati

nuova rabbia e braccia disponibili
ora trascinano ferraglia
nei viali delle città legna
macchine a qualsiasi prezzo
con ogni mezzo le barricate
si ergono tra la vita e la morte
la santissima morte cantata
da altri cittadini in rivolta
un tiro squarcia la mascella
polverizza l’occhio di un ragazzo
fora il seno di un’infermiera
che non ha mai perso un corteo
né un treno della dignità
per sputare sulla capitale
i suoi straordinari week-end
quanti storpi sfigurati orbi
sfileranno il sabato seguente
senza dire una parola
saranno visti con bende
e fasce sanguinanti eloquenti
volete decimarci o cosa?
noi che mangiamo una volta al giorno
piangiamo tra i debiti dormiamo
anche in macchina per lavoro
se non rende abbastanza per stare

dalla parte di chi grida al caos
chi recrimina i danni pubblici
e si chiede perché distruggiamo
perché domanda una principessa
con le scarpe da ginnastica
all star converse o adidas
perché mai prendersela col lusso
che non vi ha fatto nulla e brilla
in quartieri che non sono i vostri
come potete punire così
il commercio che in fondo è la vita
ne converrete sfama i piccoli
imprenditori come può darsi
tra voi si nascondano e sfasciano
tutto quello che non possiedono
al che risposero irati
venite dalle nostre parti
venga principessa e apra
il suo indispensabile negozio
poiché è dotata non chiuderà
e risero svergognandola
come fosse l’ultima cagna
di un villaggio fantasma accorsa
per un pasto che non s’è mai visto

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