Parole che (s)occorrono

ll desiderio e il dovere di un confronto con noi stessi, con gli altri, col mondo circostante e col tempo in cui viviamo: la poesia è oggi più che mai un linguaggio capace di affrontare la complessità del reale senza lasciarsi abbagliare e fagocitare dai facili miti del momento. Parole e non fatti, si dice correntemente, con un certo disprezzo. «Ma – come sottolinea Riccardo Donati – i fatti sono cose concluse, statiche, sono participi passati, mentre le parole, invece, sono faccende, sono le cose che avvengono, che circolano tra noi. Sono, insomma, il mezzo gerundio della realtà in divenire. E questa realtà, interiore o esteriore che sia, è complessa. Ciò che la poesia fa, quando è frutto di studio e rigore, passione e sincero coinvolgimento, è esattamente questo: dire in forma sintetica la complessità.»

Questo volume nasce da un confronto tra due poetesse e un critico che dialogano tra loro sul senso di scrivere e leggere versi oggi.

Raccoglie inoltre un’antologia commentata di alcune delle più significative voci poetiche di ogni tempo e latitudine: Saffo, Lucrezio, Ovidio, Osip Mandel’stam, Emily Brontë, Emily Dickinson, Anne Sexton, Zbigniew Herbert, Bartolo Cattafi, Andrea Zanzotto, Eugenio Montale, Paul Celan e altre e altri ancora. Il libro si chiude con una riflessione delle due autrici sulla natura e la pratica della loro scrittura.

Un libro rivolto a chi già legge poesia e ancor più a chi non la legge ma intende fermarsi a riflettere sulle cose che succedono per raccogliere le idee e rifondare la propria capacità di dirsi, di dire. Un libro per lavorare sul vissuto e costruire una comunità pensante, incoraggiare la lettura e la riflessione, favorire la pratica della scrittura intesa come gesto individuale e azione collettiva, intervento sul mondo.

Poesia come ossigeno. Per un’ecologia della parola” di Antonella Anedda e Elisa Biagini, a cura di Riccardo Donati (Chiare Lettere Editore, 2021).

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Il contravveleno al niente: Gian Mario Villalta tra poesia e presente

Gian Mario Villalta

di MATTEO BIANCHI

La poesia non si accontenta di una lettura e tanto meno di una lettura distratta. Di più, ci riporta a un brusio buono, biologico, alle parole sostanziali dei sentimenti. A confermarlo ancora una volta è il percorso in versi di Gian Mario Villalta, specie nelle sue ultime pubblicazioni. Una su tutte – anomala e folgorante – Il scappamorte (Amos, collana A27, 2019), nella quale il poeta non rinuncia a far proprio il bene altrui, a renderlo condivisibile attraverso il processo estetico: «Confessi a te stesso che della felicità / sai la voglia: fa feste / all’aria intorno a te e ignora / il boccone offerto, come il cane addestrato / alla guardia del cuore / quando sfugge al guinzaglio».

Nel corso di una mirabile divagazione, Barthes affermò che «la letteratura non permette di camminare, ma permette di respirare», in quanto esperienza panica e totalizzante, che permea l’individuo e non lo accompagna soltanto durante una trasformazione interiore. Villalta, dal canto suo, esorta il lettore a un’ecologia del pensiero e di conseguenza della parola, che rifletta onestamente una doverosa ecologia sociale, sostenuta dal disarmo linguistico, e che smussi l’uso di una verbosità sempre più aggressiva e opprimente, volta a intimidire e a conquistare il fruitore dei consueti flussi di comunicazione. D’altronde, sin dalla radice οἶκος, l’ecologia si fonda su un’analisi oggettiva delle interazioni tra le singolarità e il contesto di appartenenza, ossia un’analisi che si focalizza sulle relazioni interne a una qualsivoglia realtà organica. Continua a leggere

Mario Benedetti (1957 – 2020)

A due mesi dalla scomparsa di Mario Benedetti, poeta italiano, pubblichiamo alcune poesie di Benedetti tradotte in inglese da  Roberto Binetti. 

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Da Moriremo guardati (1994)

Quando s’incatina il cielo
che non è più fermo.
Mi perde la tranquilla tersità
già dell’estate.

Più non si sfugge
dalle vie calde di portici.
Al refrigerio murato
del fingersi sovrani
più non riporta
l’incarto rotto del pensiero.

When the sky’s bulging
to the point that is no longer still.
The calm terseness gets me lost
of the late summer.

No longer one could slip away
from the hot lanes of the colonnades.
No longer the cracked wrapping
of thought recalls
the walled relief
from faking regality.

Da Umana gloria (2004)

È stato un grande sogno vivere
e vero sempre, doloroso e di gioia.
Sono venuti per il nostro riso,
per il pianto contro il tavolo e contro il lavoro nel campo.
Sono venuti per guardarci, ecco la meraviglia:
quello è un uomo, quelli sono tutti degli uomini.
Era l’ago per le sporte di paglia l’occhio limpido,
il ginocchio che premeva sull’erba
nella stampa con il bambino disegnato chiaro in un bel giorno,
il babbo morto, liscio e chiaro
come una piastrella pulita, come la mela nella guantiera.
Era arrivato un povero dalle sponde dei boschi e dietro del cielo
con le storie dei poveri che venivano sulle panche,
e io lo guardavo come potrebbero essere questi palazzi
con addosso i muri strappati delle case che non ci sono.

 

To live was a great dream
and real, always, painful and full of joy.
They came for our laughter,
for our tears burst against the table and the work in the fields.
They came to stare at us, here’s the miracle:
that is a man, those are all men.
He was the needle for the straw bags, the clear eye,
the knee pressing on the grass
in the etching with the clearly-drawn child in a clear day,
the dead father, smooth and clear
like a clean tile, an apple in a glove-box.
A poor man arrived from the woods’ banks and beneath the sky
with stories from other poor men that used to amass over the benches
and I was staring at him as I would stare at these buildings
with the ripped walls of the houses that do not stand anymore. Continua a leggere

Zanzotto/Lacan. L’impossibile e il dire

Alberto Russo Previtali, foto di proprietà dell’autore

di Jean Nimis

Dopo Il destinatario nascosto. Lettore e paratesto nell’opera di Andrea Zanzotto (Franco Cesati, 2018), Alberto Russo Previtali propone un secondo saggio monografico sull’opera del poeta di Pieve di Soligo. L’autore ha inoltre dedicato ben nove articoli all’opera del poeta scomparso nel 2011, prova della sua esperienza riguardo a un’opera poetica reputata difficile e però essenziale per l’arco di tempo che va dalla seconda metà del Novecento al primo decennio del Ventunesimo secolo. Infatti, Andrea Zanzotto è stato un poeta tra i più significativi di questo periodo, certamente per la sua ricerca formale molto originale, ma soprattutto per la messa in rilievo dell’esperienza di un soggetto lirico inserito nella realtà contemporanea e intento ad esperimentare un principio di consistenza del linguaggio.

Alberto Russo Previtali parte dall’osservazione secondo la quale vari elementi del discorso fenomenologico lacaniano sono presenti nei testi in prosa e in poesia di Andrea Zanzotto. Era un elemento che Michel David aveva enunciato nel suo saggio del 1966[1] e che Stefano Agosti aveva ripreso nelle prefazioni ai volumi delle opere pubblicate da Mondadori fin dal 1973. Ed è questa configurazione che Russo Previtali mette in rilievo con precisione già nel suo prologo, dove si parte dal fatto che il linguaggio, considerato da Zanzotto in quanto dimensione “totale” (p. 10), non poteva che rendere conto di un distacco per così dire “fatale” tra significato e significante. Tale distacco appare già nel titolo del saggio, con la sbarra che separa i cognomi del poeta italiano e dello psicanalista francese. Russo Previtali insiste su “un punto teorico inaggirabile”: se Lacan rappresenta per il poeta trevisano “il nome del tentativo più coerente e organico di un’alleanza teorico-pratica tra linguistica e psicoanalisi”, non si tratta di ridurre sul piano interpretativo questa poesia al suo rapporto con la teoria dello psicanalista francese, bensì di riconoscere che è “una sua componente prospettica fondamentale, imprescindibile” (p. 10). Andrea Zanzotto, che leggeva il francese e che ha frequentato in modo regolare i testi di Lacan, aveva visto nel discorso teorico dello psicoanalista una potenzialità conoscitiva atta a permettergli di intavolare un approccio – poetico – del proprio rapporto soggetto-mondo.

Occorre certo avere una piccola idea del percorso poetico di Zanzotto (sin dagli esordi, o almeno a partire da Dietro il paesaggio del 1951, fino a Conglomerati del 2009 e passando da La Beltà del 1968), ed è anche necessario avere abbastanza chiari alcuni dei concetti di Jacques Lacan per seguire l’analisi di Russo Previtali. Tuttavia, l’autore riesce a palesare in modo accessibile, citazioni all’appoggio, le modalità con cui i concetti in area psicanalitica si fanno presenti nell’operato poetico, lungo tutta la produzione di Andrea Zanzotto, sia nelle poesie che nelle prose (saggi e narrazioni).

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Mario Benedetti, fra un secolo e l’altro

di Elio Grasso

 

I.

Letture domenicali. Quando lusinghe stevensiane e privilegi d’autore strisciano sopra l’acqua del bagno caldo, raggiungono la punta del naso, compiacendone l’olfatto, e tutto è protetto dalle pareti domestiche, ostacolando il freddo novembrino. Un’altra lettura domenicale, sull’onda di un piccolo dono giunto dalla lontana Gorizia, che vorrei suggerire ai pochi felici lettori di “Poesia”: Una terra che non sembra vera. Agli altrettanto pochi dotati di buona memoria il nome di Mario Benedetti dovrebbe ricordare uno scritto su Padova, nella fortunata serie, ospitata qualche anno fa sulle stesse pagine della rivista, dedicata alle città dei poeti. Ricordo anche un’accesa recensione a I secoli della Primavera, precedente libro di questo autore schivo, timido, ma ben presente nelle nostre personali testimonianze poetiche. Una giuria composta, fra gli altri, da Silvio Ramat, Nico Naldini, Andrea Zanzotto, ha deciso di premiare questa piccola raccolta, facendola pubblicare da Campanotto. Credo, pur non conoscendo gli altri partecipanti al premio S. Vito al Tagliamento, che questa sia stata una decisione salutare, una di quelle decisioni che prendono il volo senza riserve. Così le poesie di Benedetti scendono da quei rami che egli sapientemente agita, lungo il corso dell’esperienza quotidiana e geografica (i percorsi sono quelli, vanno da Udine a Milano seguendo un’alta via di nevi e parole perenni), lungo le pieghe della terra che raggiungono le nostre case. Tempo e misura del tempo, misura dello spazio memoriale, tutto questo c’è senza che vengano costruiti rifugi trasognati. Mi sembra che il bisogno del padre, della donna, dei poeti, venga prima di tutto difeso dalle incombenze quotidiane, e poi condotto nell’alveare che contiene sì segreti, ma anche parole buone per la semina. Parole capaci di migrare con qualunque stagione. Le premonizioni del cuore si allargano nei versi di Benedetti in un modo che, di sicuro, non tengono lontano le prove tangibili del mondo: fiumi come i nostri, marine concrete e odorose, monti invalicabili e boschi attraversati da galatei famosi. Nella domenica delle nostre domeniche ci ritroviamo sui passi di Catine e Giovanni, di Esenin e Annina e Silvio, seguendo la traccia odorosa del sigaro di Vanni. Su altri terreni, baltici, ci sembra di vedere le scogliere leggendarie che l’occhio di questo poeta ha saputo trattenere, senza mezzi termini, senza facili genealogie o somiglianze. Quello che resta, appartiene ai nostri anni. Non è facile appartenervi, ma di sicuro dobbiamo insistere a studiarne principio e mutazione. Ecco, con un libro minuscolo come questo, tutto forse ci apparirà meno difficile e meno freddo.

(1997)

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