“Una scontrosa grazia”, il Festival di poesia

CO M U N I C A T O   S T A M P A

 IL FESTIVAL

dal 2015 incontri di Poesia e Letteratura

Domenica 12 dicembre, palazzo Gopcevich, Trieste dalle ore 10 alle ore 19

Domenica 12 dicembre, dalle ore 10 e per tutto il giorno, il noto ciclo di incontri triestino della Samuele Editore e diretto da Alessandro Canzian, Federico Rossignoli, Mario Famularo e Carlo Selan, diventa un Festival presso il prestigioso Palazzo Gopcevich. Una novità che nasce dalla consapevolezza del periodo ancora complesso in cui versiamo e dalla comunione d’intenti che ha visto la cooperativa campana AltreVoci, il Comune di Trieste, Lets Letteratura Trieste, Samuele Editore e ZufZone insieme per un importante momento poetico.

“Una Scontrosa Grazia” nasce a Trieste nel novembre 2015 come ciclo di incontri organizzato a cadenza bimensile presso la libreria Mondadori di via Cavana. Spostatosi poi presso la libreria Ts360, è diventato un ciclo online durante la pandemia per tornare, il 12 dicembre 2021, in presenza presso Palazzo Gopcevich in forma di Festival. Una tradizione di dibattiti e confronti che ha portato nelle librerie della città giuliana i migliori poeti italiani e internazionali come Alberto Toni, Claribel Alegria, Franco Buffoni, Giovanna Rosadini, Gian Mario Villalta, Mary Barbara Tolusso, Claudio Grisancich, Pasquale Di Palmo, Vincenzo Mascolo, Gabriella Musetti, Nicola Vitale, Lucianna Argentino, Flaminia Cruciani, Stefano Simoncelli, non dimenticando i più giovani come Matteo Bianchi, Erminio Alberti, Miljana Cunta, Giovanni Turra, Domenico Cipriano, Roberto Cescon, Fabio Michieli, Marco Amore. Mentre, durante il lockdown, ha proposto dialoghi con Maurizio Cucchi, Alessandro Agostinelli, Marco Bini, Rosaria Lo Russo, Beppe Cavatorta, Umberto Piersanti, Guido Mattia Gallerani. Alberto Bertoni, Alessandro Brusa, Eleonora Rimolo, Giorgiomaria Cornelio e diversi altri. Senza dimenticare l’importante appuntamento con il fotografo dei poeti Dino Ignani. Continua a leggere

Alexandre O’Neill e il surrealismo portoghese

Alexandre O’Neill

NOTA DI ELEONORA RIMOLO

In Portogallo i movimenti culturali europei si innestano con diversi anni di ritardo rispetto ai paesi in cui questi si originano: ciò accade anche con il surrealismo, movimento che in Portogallo attecchisce nel secondo dopoguerra (nel 1947) per necessità storica – numerose sono infatti le analogie con il primo dopoguerra francese, basti pensare al senso di insofferenza e di rigetto dei valori borghesi imposti, ma altrettante sono le novità di questo movimento, che assume tratti assolutamente inediti.

Purtroppo, il surrealismo portoghese non può esprimersi in una attività collettiva, di gruppo, ma si realizza a livello individuale a causa dell’assoluta mancanza di libertà dei singoli nonché della mancanza di un valido entroterra freudiano utile a sostenere le teorie letterarie surrealiste.

Il fascino del surrealismo portoghese sul Tabucchi narratore è connesso allo studio critico di Tabucchi sul movimento, che nel 1971 per Einaudi curò il volume La parola interdetta. Poeti surrealisti portoghesi.

Nell’introduzione al volume, il curatore sostiene che il sistema poetico surrealista portoghese si fonda sostanzialmente su quattro elementi: l’angoscia, lo scherno, l’immagine e l’impegno. Sono sentimenti che non si addicono ad una Avanguardia tout court, poiché la disillusione, il senso di resa e l’amarezza qui sostituiscono la forza sferzante e critica del surrealismo francese. Questo atteggiamento dipende dalla situazione politica portoghese di quegli anni: la caduta del fascismo italo-tedesco non ha prodotto la caduta del salazarismo, anzi ha permesso a quest’ultimo di rafforzarsi in via definitiva.

La poesia è impotente di fronte alle violente repressioni e alla costante vigilanza del regime, e non può che rifugiarsi in un sistema letterario pregno di ambiguità e di allusioni, di simboli che nascondono il nudo significato per poter sopravvivere, galleggiando in un oceano di compromessi con il regime – che lascia gli intellettuali “liberi” di esprimersi con doppi sensi, giochi di parole e critiche indirette e per questo li schiaccia definitivamente sotto il peso dei sensi di colpa e con la consapevolezza di essere la “cattiva coscienza” di quella borghesia tanto detestata ma profondamente incarnata, responsabile dello sfacelo del Paese.

Quali armi possiede dunque questo movimento, in apparenza così privo di forza, di baldanza? Continua a leggere

Le poesie giovanili di Paolo Volponi

Paolo Volponi

NOTA DI LETTURA DI ELEONORA RIMOLO

I versi inediti recentemente ritrovati del giovane Volponi, recentemente pubblicato da Einaudi (Poesie giovanili, 2020), risalgono alla seconda metà degli anni Quaranta, alle soglie del Ramarro e arrivano fino ai primi anni Cinquanta, epoca della pubblicazione dell’Antica moneta.

Questi testi colgono il poeta in un atteggiamento molto lirico e poco ermetico, a metà tra simbolismo e naturalismo: prevalgono stilisticamente parlando la frantumazione sintattica, antieroica e antidannunziana e la tensione poetica si concentra sul tentativo di costruire un dialogo sincero con la realtà circostante e con un mondo ancora troppo misterioso per un giovane seppur talentuoso poeta.

Volponi è divorato dall’angoscia della fuga da Urbino, così agognata e così temuta allo stesso tempo e da un immobilismo interiore che arde e infiamma il verso, in bilico tra eros e repulsione.

Protagonista assoluta e cornice di questi versi è la natura: alberi, colline, animali, campi, diventano parte del paesaggio intimo del poeta che canta il suo tumulto attraverso immagini di rara potenza espressiva.

Il tema della terra natale, quella adriatica, tra monti e mare, venata da un senso di nostalgia e di corruzione dell’esistenza è dunque al centro della riflessione volponiana in questo particolare periodo della sua vita, precedente all’incontro con Pasolini e con i sodales di «Officina» che modificherà radicalmente stili e contenuti del suo fare poetico e ancora lontano dalla sensibilità verso il mondo operaio e la meccanizzazione dell’umano.

da “Poesie giovanili” di Paolo Volponi, a cura di Salvatore Ritrovano e Sara Serenelli

Dieci spighe
intorno a un melo.
Le mele cadendo
scrollerebbero le spighe.
Avrei di che mangiare.
Un verme
tra i denti
mi servirebbe
per non esser solo. Continua a leggere

Eleonora Rimolo, “La terra originale”

Eleonora Rimolo

Sono cresciuti insieme a te i miei capelli,
io meno. Ancora sono tentata dallo svanire
se ogni giorno scavo un lembo di pensiero
e mi riduco a un liquido vischioso, irriflessivo,
che non lascio bere a nessuno. Potremmo
davvero esserci tutti senza nient’altro
– solo nutrirsi ogni tanto – umane necessità.
Cosa riempirebbe allora le coscienze,
quale commento, quante penose idee.

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“Il disegno pieno” della vita

di Eleonora Rimolo

Ciò che Domenico Cipriano intende ricercare, all’interno del percorso del suo nuovo libro, L’ origine, non è semplicemente il principio di tutte le cose: l’autore, infatti, sa perfettamente che questo è inconoscibile, irraggiungibile. È il primo testo ad indicarci una preliminare possibilità: “Io sono/tutte le terre che ho visitato […] e sono tanti i segni sul mio corpo”. È quindi nel proprio passato, nella ricostruzione dei luoghi e delle proprie esperienze emotive, che va cercato il senso originario; è à rebours che bisogna procedere per quella necessità spasmodica di ripercorrere le tappe di un viaggio antico, odissiaco, che ci condurrà infine ad “un intimo inizio” – come da titolo della prima sezione. Ogni tappa di questa ricerca tutta interiore ma nello stesso tempo completamente proiettata verso l’esterno e le sue “soste” (“cercando altre soste/oltre la memoria conosciuta/dove un’origine smarrita ci appartiene”) si rivela atto fondativo della poesia dell’autore, il quale nella sua estrema onestà e nella sua totale apertura verso l’Altro ci avverte che “assumiamo il profilo della terra incolta/se non ricominciamo”. Il poeta, che è anche e prima di tutto l’uomo che sente di dover fare un bilancio, di dover scavare fino alle proprie radici – come l’Ulisse de L’ultimo viaggio di Pascoli – viene attanagliato dall’angoscia di esserci stato fino a quel momento senza alcuna ragione determinata, dopo aver preso freddamente atto della propria piccolezza al cospetto dell’infinità del cosmo. E così i versi si avvicinano ai dettagli, li raccontano, li indagano, rimestando nella cenere dopo che le braci si sono consumate: “Un dettaglio marginale – sepolto o inaccessibile -/che compensa l’angoscia/la distanza sconfinata dalle stelle”. Continua a leggere