La lingua aspra di Michelangelo

Gandolfo Cascio / Credits photo Dino Ignani

 

Michelangelo scrisse le Rime per affrontare di petto temi su cui, come artista, non poté esprimersi come voleva, e per farlo scelse una lingua aspra, distante dalla limpidezza del Cinquecento. In genere la critica si è mostrata cauta, sovente scontrosa, verso questo suo “secondo mestiere”; mentre di tutt’altra qualità è stata la ricezione tra gli scrittori che ne intuirono la caratura. Il volume di Gandolfo Cascio, Michelangelo in Parnaso. La ricezione delle Rime tra gli scrittori, Venezia, Marsilio, 2019,  indaga per la prima volta il rapporto tra diversi autori (Varchi, Aretino, Foscolo, Wordsworth, Stendhal, Mann, Montale, Morante e altri) e i versi buonarrotiani e, attraverso delle severe analisi dei testi, illustra perché Michelangelo occupi nel Parnaso un posto più nobile di quello che la storiografia ha tramandato.

ESTRATTO DAL LIBRO

INTRODUZIONE
di Gandolfo Cascio

LE CONVERSAZIONI TRA SCRITTORI

 

Per Michelangelo dura la maldicenza – non sempre a suo sfavore – del carattere saturnino, sdegnoso, «selvatico»[1]; ma ciò che conta è che la sua collocazione nella storia della cultura occidentale è netta: egli fu l’uomo che dominò consapevolmente lo spazio in cui agì, che incarnò mirabilmente la quintessenza del Rinascimento superando chicchessia.

Ormai molti sanno che fu anche poeta[2]. Il primo autografo si fa risalire al 1503, o a pochi anni prima, e tranne brevi intervalli continuò a scrivere per il resto della sua vita. Il tesoro del corpus considera 302 componimenti perfetti, perlopiù madrigali e sonetti, in una lingua aspra, sprezzante, a momenti spassosa e schietta, discosta dalla limpidezza e dalle fresche acque che allagarono il Cinquecento. A questi vanno aggiunti degli esercizi e abbozzi, incipit irrisolti, smilze adattazioni da classici e autocitazioni, sovente riportati nel verso degli schizzi o su foglietti. Di molti sono pervenuti diversi testimoni: dato che sfibra l’ipotesi del dilettante. Il romanzo[3] racconta molto: il senso dell’esistenza, qualche avvenimento della Storia, la bellezza e, supremo su tutto, l’amore dolente o benevolo nelle varianti di ἀγάπη e ἔρως, della φιλία e στοργή e, a modo suo, della ξενία.

Alcune rime erano note nei giri dei coltissimi romani e fiorentini che si passavano le trascrizioni, le incastonarono in lettere, assistettero a esami pubblici. A metà degli anni quaranta si pensò addirittura d’allestire un canzoniere; non se ne fece niente ma questo non vuol dire che Michelangelo non si curasse della propria reputazione di poeta, tutt’altro. Malgrado queste premesse favorevoli, la princeps, parziale e corrotta, venne data fuori soltanto nel 1623; la prima edizione critica nel 1863[4]. Continua a leggere

Pier Paolo Pasolini, “Carne e cielo”

 

pasolini_salaniLa casa editrice Salani (Gruppo editoriale Mauri Spagnol) pubblica Carne e cielo, una selezione di poesie di Pier Paolo Pasolini per giovani con un’introduzione di Valerio Magrelli.

Per questa speciale occasione, l’immagine della collana economica di poesia per giovani di Salani viene rinnovata utilizzando il tratto particolare e di immediato impatto dell’illustratrice Olimpia Zagnoli.

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Dall’ Introduzione di Valerio Magrelli

PPP: POLITICA, PELLICOLA, POESIA

“Uno scaffale. Se dovessi riassumere la lenta e inarrestabile crescita dell’eredità lasciata da Pasolini forse non potrei farlo meglio che con questa semplice immagine. Infatti i contributi critici sul suo lavoro (versi, narrativa, saggistica, teatro cinema) occupano un metro lineare della mia libreria – la libreria di un lettore che non è né un italianista né un ‘pasolinologo’. Mentre scrittori forse altrettanto grandi sono fatti oggetto di pochi, magari ottimi ma sporadici studi (da Moravia a Parise, dalla Ortese alla Morante, per non parlare dei nostri poeti), Pasolini, insieme al suo fraello rivale Calvino, conosce ormai un successo planetario. Con un particolare non indifferente: se l’autore di “Marcovaldo” esiste solo in forza della sua scrittura, PPP si è andato trasformando in profeta, martire, corsaro, visionario, politico e credente. Quanto all’estero, poi, si pensi che paesi distanti fra loro come la Francia e l’India tributano alla sua memoria un vero e proprio culto. Continua a leggere

Frank O’Hara

O'HaraLa Coca di Frank

di Gandolfo Cascio 

Nel Novecento inglese c’è stato un gran viavai di poeti tra il Vecchio e il Nuovo mondo: l’americano Eliot si trasferisce in Inghilterra allo scoppio della guerra; il very British Auden invece l’abbandonerà, asfissiato dalla buona educazione; mentre Dylan Thomas, gallese, avrà un successo – come si dice in questi casi – strepitoso, grazie a dei reading ormai memorabili, tenuti prima a New York e poi on-the-road per il continente. Chi invece del proprio ‘essere’ americano riuscì a fare una parte sostanziale della propria poetica è stato Frank O’Hara. Anzi la sua routine newyorkese diventerà soggetto/oggetto di alcuni dei suoi più interessanti e autentici componimenti. Continua a leggere

L’Italia terra di tesori

 

giorgio-morandi-natura-morta-1929-mart-roveretoAnticipazione
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Si svolgerà a Bologna, a Palazzo Re Enzo e del Podestà, dal 18 al 21 settembre 2014 il festival ‘Artelibro’, giunto alla sua 11esima edizione.

Nell’immagine un’opera di Giorgio Morandi conservata nel Museo Mart di Rovereto: Natura morta (1929).

Il tema di quest’anno è ‘Italia: terra di tesori’ incentrato sulla necessità di ‘riscoprire‘ le meraviglie artistiche e culturali del nostro Paese, conservando e valorizzando un patrimonio unico e incomparabile. Continua a leggere

Massimiliano Mandorlo, “Luce evento”

Cover Luce evento[1]Nota di Massimiliano Mandorlo

“Credo che la poesia, come ho avuto modo di imparare da alcuni grandi maestri come Ungaretti, Luzi, o un poeta così ‘terrestre’ e ‘metafisico’ come Zanzotto, sia “un’ondata che ti scavalca” (cito Zanzotto da una mia intervista poi pubblicata su “Clandestino”). Al di fuori di ogni possibile discorso intellettualistico o teoria sulla poesia, credo che la poesia risieda in questa sproporzione cantata attraverso la lingua, in un’epica del quotidiano e una capacità di ‘visione’ che possa corrispondere ad una piena intelligenza della realtà (intus-legere). Sono attratto da quei poeti in cui questa sfida diventa tensione anche a livello linguistico, e la parola si fa crocevia per questo ‘appassionato inseguimento del Reale’, come afferma Milosz in La testimonianza della poesia. Tra i nomi che ho incontrato su questa strada, citerei Dante, Michelangelo, Rimbaud, Ungaretti, Luzi, Caproni, Zanzotto, il polacco Herbert e, per quanto riguarda la poesia contemporanea, Rondoni, De Angelis, Lauretano, Benedetti, e l’esperienza straordinaria di un poeta come Franco Loi.” Continua a leggere