Maria Felix Korporal //6×5 video

La componente linguistica e poetica presente nei lavori di Maria Korporal si rivela essere un ottimo espediente che consente di attraversare trasversalmente la corposa produzione artistica, consentendone al tempo stesso un’analisi approfondita. Come l’artista stessa ha precisato, al pari della musica – indiscussa e manifestata ispiratrice per molti artisti – così la poesia è portatrice di suggestioni, stimoli, riferimenti che si possono tramutare in immagini.
Il tempo è una delle caratteristiche essenziali del mezzo video, in quanto quest’ultimo è per definizione un’arte basata sul tempo, e in quanto tale può offrire enormi potenzialità narrative e discorsive. È dunque la scansione temporale un altro elemento chiave dell’operare di Maria Korporal, a cominciare dall’essere condizione necessaria sebbene non sufficiente affinché l’opera d’arte concluda il suo ciclo e si realizzi nel momento in cui la fruizione si realizza. C’è una necessità ben precisa che interessa le opere, quella di inseguire il giusto ritmo compositivo tra tutti gli elementi coinvolti, verso il quale il tempo non può che essere subordinato. L’intento fondante è quello di generare una confluenza di energie date dalla giusta calibrazione di colori, forme, suoni, lettere, immagini, che veda la propria risoluzione in un’opera d’arte basata sull’armonia.

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A Milano, alla Biblioteca Sormani, poeti e prosatori alla corte dell’Es

Nell’incontro alla Biblioteca Sormani si parlerà di un libro e di un tema particolare e interessante: il rapporto fra inconscio e letteratura, intorno al quale si articolano le interviste/saggio realizzate dallo psichiatra e poeta Giancarlo Stoccoro, che ha coinvolto alcuni dei maggiori nomi della nostra poesia, da Franco Loi, Umberto Piersanti, a Milo De Angelis, in un dialogo serrato sull’argomento a partire dalla loro personale esperienza.

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Jorge Luis Borges, “Elogio dell’ombra”

 

IN COPERTINA
Micrografia in forma di labirinto (XVII sec., particolare). Metropolitan Museum of Art, New York.

A cura di Tommaso Scarano

RISVOLTO
Ogni suo nuovo libro di versi, insinua Borges nel Prologo con incantevole autoironia, è un appuntamento con temi che il «rassegnato lettore» prevede: specchi, spade, il tempo che è «la varia / trama di sogni avidi che siamo», il labirinto senza fine che ci serra, Buenos Aires che è la «milonga fischiettata che non riconosciamo e ci emoziona». E ancora il dialogo con gli autori in cui Borges si rispecchia – Ricardo Güiraldes, il «fratello della notte» De Quincey, il persiano che concepì le Rubaiyat, Hilario Ascasubi – o che, come Joyce, lo hanno riscattato con il loro ostinato rigore: le «segrete leggi eterne», del resto, dove altro sono se non nei libri? Nei libri letti, certo, perché la lettura è arte più raffinata della scrittura («Altri si vantino delle pagine che han scritto; / io vado fiero di quelle che ho letto»), ma anche nei libri semplicemente catalogati, perché ordinare una biblioteca «è esercitare, / umilmente e in silenzio, / l’arte della critica». Sono temi che il «rassegnato lettore» ritroverà qui, in realtà, con la intatta, particolare gioia «delle vecchie cose amate», scoprendo oltretutto che due nuovi, essenziali, se ne aggiungono (basti pensare a Una preghiera e a Elogio dell’ombra): l’etica, che non aveva mai smesso di appassionare l’amato Stevenson, e che al dottor Johnson aveva fatto dire: «La prudenza e la giustizia sono prerogative e virtù di ogni epoca e luogo; siamo eternamente moralisti e solo a volte geometri». E la vecchiaia, che è «dolcezza», quieta attesa della morte e di una luminosa rivelazione: «Presto saprò chi sono».

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Venezia, Keith Jarrett Leone d’oro alla carriera. A Sebastian Rivas, il Leone d’argento

E’ il pianista e compositore Keith Jarrett il Leone d’oro alla carriera per la Musica 2018; il Leone d’argento va al franco-argentino Sebastian Rivas, fra i più originali autori della sua generazione. Lo ha stabilito il Consiglio di Amministrazione della Biennale di Venezia, presieduto da Paolo Baratta, facendo propria la proposta del Direttore del Settore Musica Ivan Fedele.

Musicista assoluto, amatissimo dal pubblico – con oltre quattro milioni di dischi venduti in tutto il mondo per il Köln Concert, diventato un’opera di riferimento – Keith Jarrett riceverà il Leone d’oro alla carriera al 62. Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia il 29 settembre. E’ in questa occasione che Keith Jarrett sarà protagonista al pianoforte di una delle sue leggendarie improvvisazioni, avvenimenti unici e irripetibili che hanno costellato la sua biografia artistica contribuendo a ridefinire la scrittura pianistica.
“Acclamato unanimemente come uno dei più importanti pianisti nel campo dell’improvvisazione e del jazz – recita la motivazione – Keith Jarrett è un artista che si è cimentato con straordinario talento e creatività in diversi generi musicali, tra i quali la musica classica, componendo partiture raffinate e graffianti al tempo stesso. La sua sterminata discografia è la testimonianza di un’arte senza confini e di una personalità unica nel campo del jazz, il cui approccio e la cifra stilistica così personali ne fanno un maestro universale della storia della musica”. Continua a leggere

Eliot, le parole si muovono soltanto nel tempo

di Bianca Sorrentino

Tempo, eterna ossessione dell’uomo; inafferrabile, rivelatore, impietoso per chi fa i conti con la propria caduca, mortale esistenza. «Tempo» è anche la parola con cui T.S. Eliot sceglie di aprire i suoi Quattro quartetti, dopo aver dimostrato nel suo capolavoro, The Waste Land (1922), quanto la Poesia costituisca un fluire ininterrotto, rispetto al quale le contingenze hanno ben poco potere; con un approccio rivoluzionario, in un momento desolante sia per le vicende di portata epocale sia per alcune circostanze private, l’autore, novello rapsodo, aveva cucito tra loro versi provenienti da culture e secoli lontani, dando vita a un canto nuovo eppure ancestrale, un respiro all’unisono in cui la Filomela di Ovidio avrebbe potuto condividere con l’Ofelia shakespeariana il suo destino di vittima, un prodigio letterario per il quale Tiresia, l’indovino della classicità, avrebbe saputo parlare al Novecento in virtù di quella forza che accomuna il mito alla poesia, la capacità di trascendere i confini spazio-temporali.

Questa universalità, documentata empiricamente ne La terra desolata proprio attraverso l’applicazione del metodo mitico – in base al quale il mŷthos diviene cioè paradigma per il presente –, nei Four Quartets viene indagata attraverso una meditazione altissima e rarefatta. Le passeggiate nella campagna inglese, lontana dalla polvere sotto la quale giace la capitale in guerra, forniscono l’occasione al poeta per riflettere sul senso della memoria, della ciclicità, del concetto di principio che finisce per compenetrarsi con quello di fine. Non è raro che in questo cammino gli elementi del paesaggio siano figura dei moti dell’animo, segnato nel profondo e reso consapevole dallo scorrere del tempo: si tratta di versi frutto di un’età matura, per di più limati nel corso di sette, lunghi anni (1936-1942), durante i quali la strada è riuscita a levigare le asperità di certe visioni. Così, in uno slancio di rinnovata fiducia e riscoperto senso del sacro, gli occhi si posano su un’arcana primavera invernale, un palpito di vita che ancora resiste dentro i ghiacci.

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