Marianne Moore, “Che cosa sono gli anni” e “La Poesia”

Marianne Moore

Che cosa sono gli anni

Che cos’è la nostra innocenza,
che cosa la nostra colpa? Tutti
sono nudi, nessuno è salvo. E donde
viene il coraggio: la domanda senza risposta,
l’intrepido dubbio, –
che chiama senza voce, ascolta senza udire –
che nell’avversità, perfino nella morte,
ad altri dà coraggio
e nella sua sconfitta sprona

l’anima a farsi forte? Vede
profondo ed è contento chi
accede alla mortalità
e nella sua prigionia ti leva
sopra se stesso, come
fa il mare dentro una voragine,
che combatte per essere libero
e benché respinto
trova nella sua resa
la sua sopravvivenza.

Così colui che sente fortemente
si comporta. L’uccello stesso,
che è cresciuto cantando, tempra
la sua forma e la innalza. È prigioniero,
ma il suo cantare vigoroso dice:
misera cosa è la soddisfazione,
e come pura e nobile è la gioia.
Questo è mortalità,
questo è eternità.

da Le poesie, a cura di Lina Angioletti e Gilberto Forti, Adelphi, 1991 Continua a leggere

Joyce Mansour, “I nostri passi ci precedono ci seguono”

Joyce Mansour (Collezione privata)

di Giovanni Ibello

La poesia di Joyce Mansour giunge disarmata in tutta la sua irredenta potenza metafisica. Il dettato dell’autrice si articola in un groviglio di visioni surreali. In particolare, parliamo di un itinerario di lacerazioni erotiche, uno spietato luogo del grido (Casa vuota nera spettrale / I nostri passi ci precedono ci seguono). Non esistono messe di quiete. La leggo e mi sussurra qualcosa, come in una vecchia poesia di Charles Simic. Sembra dire: “Parlo d’amore, ma non so cosa amo. So cosa feconda il mio verso: fare del corpo la misura del tremendo“. Una morsa, quella di Eros e Thanatos, destinata a riverberarsi per tutta l’opera dell’autrice. Un trait d’union che non sarà mai abbandonato (il corpo perde le sue forze /desiderando di vedersi morto già muore). Il motivo è presto detto: in questo succedersi di immagini deliranti, si registra un percorso di sperimentazione corporea che non può essere taciuto, ma che anzi viene pericolosamente offerto al lettore. Riporta inevitabilmente alla “Scuola della carne” di Yukio Mishima e più in generale, a quell’idea che per scrivere davvero una poesia è necessario rischiare tutto, anche la vita se necessario. Bisogna dunque mettersi in gioco, ma farlo veramente, fare “all in” col proprio corpo: offrirlo sull’altare della parola (mescolo il fiato al sangue del gufo / il mio cuore corre crescendo / con i folli), non recedere di fronte all’azzardo, a quella sottile demarcazione tra una buona scrittura e un verso “irripetibile”. La poesia appartiene a chi non conosce viltà (Ho aperto la sua bocca senza labbra/ Per muovere una lingua atrofizzata / Ha nascosto il suo sesso profumato / Con una mano blu di morte e vergogna). Continua a leggere

Hikmet, il grande poeta mistico

Nazim Ikmet

Nota di Fabio Izzo

Nemo profeta in patrie.
Molto amato in Italia ma decisamente dimenticato nelle sue due patrie… stiamo infatti parlando di uno dei poeti più universali della letteratura mondiale, cioè Hazim Hikmet. Poeta turco con cittadinanza polacca, a suo tempo comunista e con diversi anni di vita trascorsi in prigione, ma quel che a noi più interessa è la sua assoluta fede nell’uomo, mai venuta meno.

Non perdete tempo a cercarlo nei media polacchi, nella sua patria di adozione, vi troverete ben poco o quasi nulla, eppure lì sono nate le sue radici, non solo la cittadinanza. Hikmet paga tuttora la sua fede politica (visione portata fino all’estremo, quasi all’utopia), il suo essere un immigrato delle lettere, un rifugiato del verso. C’era quindi un tempo quando l’Europa accoglieva…. Continua a leggere

In memoria di te, Mark Strand

 

Man and Camel

On the eve of my fortieth birthday
I sat on the porch having a smoke
when out of the blue a man and a camel
happened by. Neither uttered a sound
at first, but as they drifted up the street
and out of town the two of them began to sing.
Yet what they sang is still a mystery to me—
the words were indistinct and the tune
too ornamental to recall. Into the desert
they went and as they went their voices
rose as one above the sifting sound
of windblown sand. The wonder of their singing,
its elusive blend of man and camel, seemed
an ideal image for all uncommon couples.
Was this the night that I had waited for
so long? I wanted to believe it was,
but just as they were vanishing, the man
and camel ceased to sing, and galloped
back to town. They stood before my porch,
staring up at me with beady eyes, and said:
“You ruined it. You ruined it forever.”

Mark Strand

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Sergej Gandlevskij, “Festa e altre poesie”

Сергей Гандлевски – Sergej Gandlevskij

Festa e altre poesie, a cura di Elisa Baglioni, (Passigli Poesia, 2017) raccoglie una ricca selezione dell’opera poetica di uno dei maggiori poeti russi contemporanei, Sergej Gandlevskij. La sua poesia, fiorita negli ultimi anni dell’epoca sovietica e dunque a contatto con le esperienze del “samizdat” dell’undeground moscovita, costruisce un originale ponte con la grande poesia russa dell’Ottocento e del primo Novecento, e tanti sono i richiami espliciti a poeti, da Puskin e Lermontov a Mandel’stam e Chodasevic; mentre un certo tono beffardo e malinconico, e la spregiudicatezza con cui l’io-personaggio si getta nel mondo possono forse avvicinarlo a Sergej Esenin. Ma con Gandlevskij si afferma una personalità poetica nuova, forte e originale, da un lato molto incline alla vita e alla lingua di tutti i giorni, dall’altro profondamente meditativa e di rara eleganza formale nella sua ostinata ricerca lessicale e nella sua grande consapevolezza metrica. Come ha scritto egli stesso: Né la bellezza delle immagini né la profondità di pensiero potrebbe salvare una poesia, se il lettore non provasse semplicemente gioia a pronunciarne le strofe o perfino i versi. Continua a leggere