Carol Ann Duffy, “Christmas Poems”

Carole Ann Duffy

Da Un Natale inglese, poesie scelte (Christmas Poems di Carol Ann Duffy), a cura di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti, illustrazioni di Simone Pagliai, Editoriale Le Letter, 2018

The Christmas Truce

Christmas Eve in the trenches of France,
the guns were quiet.
The dead lay still in No Man’s Land –
Freddie, Franz, Friedrich, Frank . . .
The moon, like a medal, hung in the clear, cold sky.

Silver frost on barbed wire, strange tinsel,
sparkled and winked.
A boy from Stroud stared at a star
to meet his mother’s eyesight there.
An owl swooped on a rat on the glove of a corpse.

In a copse of trees behind the lines,
a lone bird sang.
A soldier-poet noted it down – a robin
holding his winter ground –
then silence spread and touched each man like a hand.

Somebody kissed the gold of his ring;
a few lit pipes;
most, in their greatcoats, huddled,
waiting for sleep.
The liquid mud had hardened at last in the freeze.

But it was Christmas Eve; believe; belief
thrilled the night air,
where glittering rime on unburied sons
treasured their stiff hair.
The sharp, clean, midwinter smell held memory.

On watch, a rifleman scoured the terrain –
no sign of life,
no shadows, shots from snipers,
nowt to note or report.
The frozen, foreign fields were acres of pain.

Then flickering flames from the other side
danced in his eyes,
as Christmas Trees in their dozens shone,
candlelit on the parapets, and
they started to sing, all down the German lines.

Men who would drown in mud, be gassed, or shot,
or vaporised
by falling shells, or live to tell,
heard for the first time then –
Stille Nacht. Heilige Nacht. Alles schläft, einsam wacht …

Cariad, the song was a sudden bridge
from man to man;
a gift to the heart from home,
or childhood, some place shared …
When it was done, the British soldiers cheered.

A Scotsman started to bawl The First Noel
and all joined in,
till the Germans stood, seeing
across the divide,
the sprawled, mute shapes of those who had died.

All night, along the Western Front, they sang,
the enemies –
carols, hymns, folk songs, anthems,
in German, English, French;
each battalion choired in its grim trench.

So Christmas dawned, wrapped in mist,
to open itself
and offer the day like a gift
for Harry, Hugo, Hermann, Henry, Heinz …
with whistles, waves, cheers, shouts, laughs.

Frohe Weinachten, Tommy! Merry Christmas, Fritz!
A young Berliner,
brandishing schnapps,
was the first from his ditch to climb.
A Shropshire lad ran at him like a rhyme.

Then it was up and over, every man,
to shake the hand
of a foe as a friend,
or slap his back like a brother would;
exchanging gifts of biscuits, tea, Maconochie’s stew,

Tickler’s jam … for cognac, sausages, cigars,
beer, sauerkraut;
or chase six hares, who jumped
from a cabbage-patch, or find a ball
and make of a battleground a football pitch.

I showed him a picture of my wife.
Ich zeigte ihm
ein Foto meiner Frau.
Sie sei schön, sagte er.
He thought her beautiful, he said.

They buried the dead then, hacked spades
into hard earth
again and again, till a score of men
were at rest, identified, blessed.
Der Herr ist mein Hirt … my shepherd, I shall not want.

And all that marvellous, festive day and night,
they came and went,
the officers, the rank and file,
their fallen comrades side by side
beneath the makeshift crosses of midwinter graves …

… beneath the shivering, shy stars
and the pinned moon
and the yawn of History;
the high, bright bullets
which each man later only aimed at the sky.

La tregua di Natale

Vigilia di Natale nelle trincee francesi,
i cannoni tacevano.
I morti non si muovevano nella Terra di Nessuno –
Freddie, Franz, Friedrich, Frank …
La luna, come una medaglia, pendeva nel cielo terso e freddo.

Sul filo spinato il luccicchìo della brina era bizzarra
canutiglia d’argento.
Un ragazzo di Stroud fissò una stella
per incontrarvi lo sguardo della madre.
Un gufo piombò su un ratto sul guanto di un morto.

In un boschetto nelle retrovie,
un uccellino solitario cantò.
Un soldato-poeta lo annotò – un pettirosso
mantiene il suo territorio invernale –
poi scese il silenzio e come una mano toccò ogni singolo uomo.

Qualcuno baciò l’oro del suo anello;
alcuni accesero la pipa;
quasi tutti, nei loro pastrani, si strinsero
ad aspettare il sonno.
Il fango liquido si era infine indurito nel gelo.

Ma era la vigilia di Natale; credete; la fede
elettrizzava la notte,
e la brina luccicante sui figli insepolti
ne impreziosiva i capelli irrigiditi.
L’odore aspro, secco dell’inverno serbava il ricordo.

Una sentinella perlustrava il terreno –
non un segno di vita,
né ombre né spari di cecchini,
nulla da notare o riportare.
Gli agri stranieri, gelati, erano campi di dolore.

Poi fiammelle tremolanti dalla parte opposta
gli danzarono negli occhi,
brillarono come decine di alberi di Natale,
lucine di candela sui parapetti, e
là, lungo le linee tedesche, si cominciò a cantare.

Uomini che sarebbero annegati nel fango, gassificati, annichiliti,
colpiti
da scrosci di granate, o sopravvissuti per raccontare,
udirono allora per la prima volta –
Stille Nacht. Heilige Nacht. Alles schläft, einsam wacht …

Cariad, il canto fu un ponte improvviso
da uomo a uomo;
un dono al cuore da casa,
o dall’infanzia, da un luogo condiviso …
Finita la canzone, i soldati britannici applaudirono.

Un soldato scozzese attaccò a squarciagola The First Noel
e tutti dietro,
finché i tedeschi si alzarono in piedi, e videro
attraverso la linea di separazione,
le forme mute, scomposte, di chi era morto.

Per tutta la notte, lungo il Fronte Occidentale, cantarono,
i nemici –
canti di Natale, canzoni popolari, inni nazionali,
in tedesco, inglese, francese;
ogni battaglione in coro nella sua cupa trincea.

Così spuntò l’alba di Natale, avvolta nella nebbia,
per aprirsi
e offrire quel giorno come un dono
a Harry, Hugo, Hermann, Henry, Heinz …
con fischi, saluti, urrà, grida, risate.

Frohe Weinachten, Tommy! Merry Christmas, Fritz!
Un giovane di Berlino,
brandendo schnapps,
fu il primo a uscire dal fossato.
Un ragazzo dello Shropshire gli corse incontro come una rima.

E fu tutto un correre su, ognuno di loro,
a stringere la mano
del nemico come fosse un amico,
o dargli una pacca sulla spalla come un fratello;
e scambiarsi doni di biscotti, tè, stufato Machonochie,

marmellata Tickler… cognac, salsicce, sigari,
birra, sauerkraut;
o rincorrere sei lepri, saltate fuori
da un orticello di cavoli, o trovare un pallone
e trasformare un campo di battaglia in un campo di calcio.

Gli ho mostrato una foto di mia moglie.
Ich zeigte ihm
ein Foto meiner Frau.
Sie sei schön, sagte er.
Quanto è bella, ha detto lui.

Poi seppellirono i morti, spinsero le vanghe
nella terra indurita
più e più volte, finché una ventina di uomini
non furono in pace, identificati, benedetti.
Der Herr ist mein Hirt … il mio pastore, non manco di nulla.

E per tutto quel giorno e quella notte, festosi, meravigliosi,
ci fu un viavai
di ufficiali, di truppa,
i compagni caduti fianco a fianco
sotto le croci improvvisate di tombe invernali …

… sotto le stelle timide, tremule
e la luna infilzata
e lo sbadiglio della Storia;
i proiettili lucidi, alti
che ciascun uomo da allora diresse soltanto al cielo. Continua a leggere

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Tiziano Scarpa “Groppi d’amore nella scuraglia”

Tiziano Scarpa

Il poemetto Groppi d’amore nella scuraglia di Tiziano Scarpa arriva alla terza edizione dopo quelle, in altre collane einaudiane, del 2005 e del 2010.

Un’edizione nuova per interventi strutturali dell’autore, oltre che per l’aggiunta di un testo in appendice.

In questi quindici anni di vita la saga comica e poetica di Scatorchio, che per fare dispetto al suo rivale in amore aiuta il sindaco a trasformare il paese in una discarica di rifiuti, ha avuto molti lettori e molti spettatori dato che il poemetto, di intima natura teatrale, è stato più volte messo in scena.

È un libro originalissimo, scritto in una lingua dialettale inventata, sapientemente primitiva.

Nel monologo si affollano le voci di personaggi indimenticabili, come l’amata ma non bellissima Sirocchia, la vidova Capecchia, che scoprirà di non essere tanto vedova, lu nonnio, maestro di educazione sentimentale… E un bestiario di esseri non meno infelici e desideranti degli uomini: lu gatto gattaro, lu cane canaglio, lu rundenello, lu surcio pantecano.

Scatorchio parla con loro come parla con Gesú e con la Maronna e Iddio Patro in una lingua che attinge alle parlate centro-meridionali ma anche ai volgari delle origini. Continua a leggere

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Andrea De Alberti, “La cospirazione dei tarli”

Andrea De Alberti

«Ho tolto il suo peso a un uomo perduto»: La cospirazione dei tarli può essere letto come una biografia poetica di Cervantes. I tarli non sono quelli in una vecchia edizione del Don Chisciotte: sono tarli mentali eppure reali. Infatti questo libro racconta anche la storia di Francesco Pacheco, quel pittore che dipinse tutti i più grandi personaggi spagnoli del suo periodo a eccezione di Cervantes. La ragione è curiosa: Pacheco era ossessionato dal rumore dei tarli nella tela e non riuscirà mai a terminarne l’opera. Spetterà così solamente a Cervantes costruire passo dopo passo la sua vicenda personale e letteraria attraverso la figura del Chisciotte, perché «chi tradisce una segreta abitudine è sotto minaccia di una stagione di fuoco».

da La cospirazione dei tarli, L’universo di don Chisciotte, Interlinea 2020

Questa formula è una differenza di livello,
una relazione possibile tra due vite
in un cammino curvo.
Non dovrei fare ciò che faccio,
è senza dubbio bello vedere le cose,
ma non farne parte.
Così mi sono attribuito una figura,
un cavallo, un’alterazione nervosa
per una donna chiamata Dulcinea,
l’inconveniente di un’anima buona.
I contadini costruiscono falsi posti di blocco e
sono sicuro dell’esistenza dei mulini a vento,
ma vi faccio credere altro, infrango le leggi
e voi vi infatuate del mare e delle vie sotterranee.

*

Cosa c’era di più bello dello starsene
seduti sulla groppa di un cavallo?
Dove la coda si snodava lunga e caotica
come i sentieri della Mancha.
Chiudere gli occhi. Aprire gli occhi. Richiuderli.
Qualche centimetro più in basso sentire
l’acqua o il desiderio di volare
tipico dei bambini e degli adulti con disturbi.
Niente poteva fermare gli enormi sciami.
Non mi era permesso di tagliare da solo il sipario che calava.

 

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Marco Bini, da New Jersey

Marco Bini

Un racconto, impossibile. La provincia è così: non si afferra, non ne prendi esattamente tutti i contorni. E lo sai, l’insicurezza è l’approdo che la poesia t’insegna. Sono queste le due colonne d’ingresso al libro, parole di Luigi Ghirri e di Iosif Brodskij. Ci salutano, ci dicono: forza, entrate, ecco il nostro–vostro New Jersey. Sa di Terra promessa, questo libro di Marco Bini, anzi di terra e di promessa, «mattone–memoria della terra» e promessa di vita, avvertita tanto da volere, un tempo e forse ancora, «che smettesse tutto quanto» e allo stesso tempo che davvero non finisse. Sentirete, tocca ognuno di voi questo bilico, voi che state per entrare. Vedrete, vi riguarda, se tentati come credo tutti lo siamo di narrare la nostra storia, la nostra benedetta terra.

Dalla prefazione di Cristiano Poletti

Da New Jersey, Interno Poesia, 2020

Dovremmo credere ai cartelli quando come costole
spalancano al cuore spazio per pulsare,
se l’alluminio rifrange in cifre la misura
del divario fossile che basta a sentirci persi

o vederli come sfregi verticali al modo che abbiamo
di sbirciare l’orizzonte del nostro New Jersey
ma senza ponti per il centro dove agglomerarsi
nel nucleo vulcanico dove fabbricano la luce?

*

Forse più la prima, specie quando le statali
affondano, si fanno radici, vengono a prenderci.
Le aspettiamo, si facciano avanti:
ci tengono a distanza.

Al capo estremo del tracciato siamo
dove ai giorni non si attaccano aggettivi,
siamo deposito e sedimento,

siamo i pezzi che nell’esplosione volano lontano. Continua a leggere

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