Umberto Piersanti

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Umberto Piersanti (Credits / Dino Ignani)

di Sauro Damiani

UMBERTO PIERSANTI, Nel folto dei sentieri, Milano, Marcos y Marcos, 2015

Rose e marmellata. (“dopo la marmellata con il burro/al grande parco scendi/sopra i muri,/tra i meli e le rose/passi e respiri”, p.30). Rose; e anemoni, e colchici, e papaveri, e giacinti, e primule, e, prima di tutto, favagelli. Come nell’intera storia poetica di Piersanti, anche in questo ultimo libro sfavillano i fiori, nominati con la precisione di uno sguardo individuante e amoroso, che ne fa sprigionare la loro luce assoluta. “Luminoso” è uno degli aggettivi più frequenti e significativi del libro, spesso in coppia con altri che ne esaltano la forza evocativa, come in “chiaro e luminoso”, “ridente e luminoso”. Un “luminoso” di una tonalità inconfondibile, tutta piersantiana, che spicca nel panorama di una poesia, non solo italiana, che, al contrario, predilige le tonalità scure. Ma un fiore (o un’ora, o un evento) è luminoso solo in quanto è “assoluto”, cioè, nel senso etimologico del termine, “sciolto”, separato dal tempo “baro”; un fiore (o un’ora, o un evento) “remoto”, anche qui nel senso di rimosso dall’oggi e collocato in un orizzonte mitico, nell’eden “fragile/ e assoluto”, sempre perduto (“l’eden che ci è concesso/è sempre perso”; 209): come tutta quella nata dopo e dal romanticismo, anche la poesia del nostro è percorsa da un’insanabile scissione metafisica. Solo che Piersanti non rinuncia a dispiegare e nominare l’incontenibile efflorescenza della natura (la natura naturans), di cui egli si sente carnalmente partecipe e di cui è commosso testimone e interprete. Nel “tempo della povertà”, egli non è povero. Continua a leggere

Matteo Bianchi, “La metà del letto”

 

cover_bianchi[1]Recensione di Chiara De Luca

Leggendo il titolo della nuova raccolta poetica di Matteo Bianchi, La metà del letto, (Barbera, 2015) ho pensato, nella fretta che spesso abbiamo di farci un’idea cui sostenerci nell’affrontare le cose, che mi sarei trovata davanti a un canzoniere d’amore nel senso tradizionale del termine. In realtà questa nuova raccolta poetica di Bianchi è piuttosto un Bildungsroman in versi, un romanzo di formazione, che – tra viaggi in treno e viaggi di pensiero, incontri, avvenuti e mancati, stagioni atmosferiche e stagioni dell’anima – ritraccia il percorso esistenziale dell’autore alla ricerca di se stesso e della propria identità, della propria femminilità, come scrive Bianchi stesso nella nota finale, oppure in senso lato, della propria maturità e interezza in quanto individuo. Continua a leggere

“Olimpia”, di Luigia Sorrentino

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Luigia Sorrentino legge da Olimpia, “Giovane monte in mezzo all’ignoto”


Nota di Diego Caiazzo

Colpisce molto la lettura di Olimpia, di Luigia Sorrentino (Interlinea, 2013). Si tratta di un testo d’impatto molto forte, non facile, come dice Mario Benedetti nella postfazione e lontano dal tipo di poesia che si può leggere nella contemporaneità. Continua a leggere

Daniele Piccini, “Inizio fine”

Letture

Recensione di Paolo Lagazzi

Inizio fine, la nuova raccolta di versi di Daniele Piccini, è un libro misterioso e difficile, lampeggiante di pathos e ombra. Dire che si tratta di un’opera concepita per testimoniare come “nei tempi di povertà si ricoprono / di cenere le sostanze”, mentre il mondo “smotta” e la mente “barcolla”, non è ancora nulla. Se da una parte si srotola per mostrarci forme dell’amarezza e del dubbio, pieghe del tormento o della solitudine – quella solitudine che incide la carne degli uomini e degli animali come la sostanza fiammante delle stelle -, dall’altra il testo di Piccini si arrotola, si avviluppa o s’increspa per tentare contrappunti, per intarsiare linee altre di senso, per scavare cunicoli segreti, per inspirare il vento aspro delle domande estreme in attesa di soffiarlo su noi con la forza utopica dell’angoscia. Cosa comincia, cosa finisce in ogni attimo di quella realtà divina o di quella ferita enorme che è la vita? Qual è il nostro vero compito, saper capire quando è “il Continua a leggere

Alessandro Niero, A.B.C. Chievo

Alessandro Niero, A.B.C. Chievo
Prefazione di Massimo Raffaeli
Passigli Editori 2013
pp. 80, € 12


Recensione Chiara De Luca

Fine traduttore dal russo, Alessandro Niero è abituato al lavoro umile sulla materia verbale da plasmare in senso e suono, alla dura guerra con lessico e sintassi per dare forma coerente al verso, obbedendo a quella melodia segreta che il traduttore, così come il poeta, intende nell’orecchio, e che deve trascrivere, obbedendo a un ritmo interno naturale, a una musica che raffina il tempo, perché il lettore possa a sua volta percepirla. La distanza strutturale e semantica della lingua russa dall’italiano non lascia inoltre appigli al traduttore, che si abitua a piegare il linguaggio, a provarlo fino ai limiti, fin quasi oltre i suoi confini, a reinventarlo. Artigiano della parola, il traduttore compie un lavoro

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